“La mia è la vita di un uomo sfinito”: l’intervista di Marco Baldini al Giorno è di quelle che ti lasciano senza parole, e ti fanno sentire ogni tuo commento come una sfacciataggine indebita e presuntuosa. Però l’intervista è drammaticamente bella perché drammaticamente vera, ed è bene non perderla.



I fatti. Sommerso da un cumulo di debiti di gioco e braccato giorno e notte dai creditori infuriati, Baldini spiega che ha rinunciato al programma con Fiorello semplicemente perché non ce la fa più, e anche per non mettere in pericolo lo stesso Fiorello. E’ perfettamente consapevole che per uscire dall’inferno in cui è finito avrebbe bisogno di una continuità di lavoro e quindi di entrate, invece regge solo le due ore a Radio Radio, e anche queste a fatica e chissà fino a quando; e non trova l’energia per un impegno maggiore. Non trova neanche chi prenda in considerazione le sue idee e i suoi progetti: si sa, quando le cose ti vanno bene, tutti mangiano e bevono con te; quando sei nei guai ti stanno ben alla larga.



“La mia è la vita di un uomo sfinito”. Questa affermazione mi ha richiamato alla mente una certa frase di Gregorio Nazianzeno, padre della Chiesa del IV secolo: “Se non fossi tuo, o Cristo mio, mi sentirei creatura finita”. E infatti è assai facile nella vita giocarsi tutto e perdere se stessi. Non necessariamente a poker o alla roulette. Sono andato a cercare il contesto di quella confidenza di Gregorio, ed ecco il passaggio intero: “Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole … e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho pià di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita”.



Mentre riflettevo su queste cose, ero a dire il rosario davanti alla bara ancora aperta di un’amica appena morta. Essendo domenica, i misteri erano quelli gloriosi e il primo mistero glorioso riguarda la Resurrezione. Mi è sembrato, in quel momento, un paradosso enorme, da apparirmi per certi versi quasi spudorato: lei lì nella cassa, gli occhi chiusi per sempre, pronta per il trasporto alla sepoltura sotto terra, e intanto noi “…si contempla la Resurrezione di Gesù”. Invece è proprio giusto così, perché se c’è uno che tira letteralmente fuori dai sepolcri, da sottoterra, è Gesù. Perché creatura finita, spacciata, di riffa o di raffa, lo saremmo, anzi lo siamo, tutti. Senonché Uno ha avuto pietà del nostro niente, così che l’umano in noi non muore, il cuore con la sua esigenza e il suo presentimento del bene viene a galla, letteralmente esce dal sepolcro e non può cessare di attendere.

Io non mi spiego diversamente la sincerità e l’onestà disarmante di Baldini: nell’intervista egli riconosce l’origine delle disgrazie nel proprio errore alla stessa maniera di quando, nella Confessione, si accetta la sincerità e l’umiliazione di accusare i propri peccati, senza la furbata consueta di scaricare le colpe sugli altri. Che poi, se di peccato vogliamo parlare, si trattò di peccato veniale: nel 1991 Baldini fece la sciocchezza di rigiocare 20 milioni di lire che un amico gli aveva prestato perché pagasse i debiti e finisse tutto lì. E invece… Ma si trattò di una roba da 10mila euro di adesso, una cifra non da capogiro, come una piccola palla di neve che poi però è diventata valanga. “Fu l’errore più grande della mia vita”.

Nemmeno se la prende, Baldini, con quelli che oggi non hanno “né la voglia né il coraggio” di fidarsi e di investire su lui, per dargli una chance: “Non li biasimo. Chi vorrebbe darmi una mano non ha i soldi, chi ha i soldi non mi dà una mano”. E, nella sua disgrazia, si considera “più fortunato di chi è stato licenziato e ha tre figli da mantenere”. Dalla moglie si è separato “per non rovinarle la vita”. Ma se chiedi a Baldini se c’è qualcuno che gli sta vicino, ti risponde: “Lei. Lei e qualche amico”. Ecco, qualcuno che, come un segno, c’è.