L’Italia sta perdendo ogni giorno la memoria di ciò che è stata, cioè della sua storia. Esondano fiumi, rivoli e affluenti, distruggendo piazze e ponti. Il passato è sempre più un cimitero liquido. Chi deve conservare e amministrare la memoria del passato, è chiamato a sostenere la favola che il sentimento nazionale e unitario sia nato nelle trincee del Piave. Eppure, a combattere i nostri soldati sono stati costretti avendo alle spalle fucili e rivoltelle puntati dai propri commilitoni.



Lo sapeva bene Giovanni Amendola. Lo ignorano gli storici più recenti arruolati dal Corriere della Sera a celebrare quel che non è mai nato, o è nato, magari solo suo campi di calcio negli anni Settanta-Ottanta del secolo appena trascorso.

Gli archivi, le memorie depositate, ci aiutano di più. Ma nessuno scuce un baiocco per farli funzionare. E il potere politico emette leggi e regolamenti per dimostrare che, aprendoli al pubblico, o sono vuoti o ridondano di carte che accusano il solito grande nemico, i comunisti.



I giornalisti di Repubblica hanno denunciato la brutta avventura di avere trovato gli archivi del ministero della Difesa ripuliti. Sopravvivevano piccole risme residuali dell’antica passione degli anni del centrismo per lo spionaggio a favore di Mosca da parte del Pci.

Se posso aggiungere una testimonianza alla delusione dei giornalisti di Repubblica, il quadro si amplia. Una manciata di mesi fa ho chiesto alla presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi di poter consultare, per una pubblicazione, il Rapporto sulla trattativa Stato-mafia del biennio 1992-1993, redatto dal magistrato palermitano Antonio Tricoli con la collaborazione dell’ex presidente del Tribunale di Palermo, Salvatore Scaduti, del consigliere di Cassazione di Milano Marco Alma e di chi scrive (professore universitario di storia contemporanea).



Risposta: nessuna. La Bindi ci ha trattato come se fossimo delle sue controfigure, cioè dei politicanti da suburra cattolica (“neri”) passati al soldo dei “rossi”.

Durante i governi Prodi e Berlusconi ho provato a chiedere ai ministri della Difesa (e non solo) Antonio Martino, Arturo Parisi, Ignazio La Russa, Giuliano Amato e altri l’accesso alle carte (non secretate) riguardanti l’organizzazione para-militare del Pci. Ebbene, nessuno di costoro (in maggioranza professori universitari come me) si è voluto disturbare per consentirmi la consultazione del materiale documentario esistente in Via XX Settembre.

Non migliore fine hanno avuto le richieste di poter accedere agli archivi dei nostri servizi segreti (affidata alla gestione di un diplomatico come Giampiero Massolo) per conoscere le connessioni tra il terrorismo libico e palestinese e la strage di Bologna del 2 agosto 1980.

La storia dell’Italia contemporanea è stata, e continua ad essere, partitizzata. Ogni ministro difende le cortine abbassate su personaggi ed eventi di una storia raccontata trionfalisticamente.

Faccio un esempio. Chi in questo governo è disposto a dare una mano per descrivere quante tonnellate di petrolio e di armi erano necessarie per finanziare la corrente di Aldo Moro e per far giungere al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina scorte di mezzi armati? Fino a quando il traffico di armi reso possibile dagli uomini di Moro presso l’apposito ufficio della Farnesina, resterà un argomento da bar invece che di ricerca storica?