Il Governo Renzi ci ha abituato alla politica dell’annuncio, una tecnica sperimentata per rilanciare la speranza, attivare desideri e illusioni, salvo poi obbligare tutti a fare i conti con una realtà sempre molto faticosa da accettare, perché da un lato non alleggerisce la fatica quotidiana delle famiglie, appesantite da una crisi ormai decennale, e sotto certi aspetti rende sempre più fragili i legami su cui si fonda la famiglia, esponendola ad una strana precarietà affettiva ed effettiva.
Presentando la legge di stabilità in conferenza stampa, Renzi aveva postato un tema così delicato anche su Twitter, affermando: “La differenza tra la finanziaria 2014 e quella 2015 è che ci sono 18 miliardi di tasse in meno. Tutto qui”. La manovra prevedeva 36 milioni di euro, 6 in più rispetto ai 30 previsti e, aggiungeva il premier, con una drastica diminuzione delle tasse. “Imprenditori, non avete più alibi”.Ma le cose non stanno proprio così, almeno non dicono questo i lavori in commissione Bilancio alla Camera, dove ancora oggi si stanno discutendo gli emendamenti necessari per migliorarne l’impianto e rendere così migliore la qualità di vita delle famiglie italiane.
Di pressione fiscale si parlerà sì, ma entro la fine di marzo 2015, quando i nodi previsti dalla delega fiscale verranno finalmente al pettine. Solo allora infatti il Parlamento sarà chiamato a votare le misure che dovrebbero ridurre la pressione fiscale, nella speranza di renderle più eque, attenuando quel profondo disagio che sperimentano tutti i cittadini davanti a norme che in molti casi appaiono inique.
Nella legge di stabilità 2015 troviamo pochissimi riferimenti alle famiglie: confermato il bonus di 80 euro ai lavoratori dipendenti con un reddito annuo di 26mila euro. Dal 2015 verrà inoltre erogato un assegno di 80 euro al mese per ogni nuovo bambino nato o adottato residente in Italia. Sono stati stanziati circa 250 milioni per il fondo della carta acquisti e ci saranno altri 300 milioni per interventi a favore della famiglia, uno sviluppo territoriale dei servizi socio-educativi della prima infanzia. E’ stato inoltre pressoché raddoppiato il fondo per la non autosufficienza e i dipendenti privati in via sperimentale potranno richiedere al proprio datore di lavoro di usufruire della cifra maturata fino ad allora con il Tfr.
Al Governo, in tempi di crisi e in carenza di risorse, tutto ciò sembra molto.. molto di più di quanto abbiano fatto i governi precedenti. Ma in realtà siamo ben lontani da quella prospettiva di sviluppo che dovrebbe caratterizzare politiche forti in favore della famiglia, della sua coesione e della sua apertura alla vita e all’accoglienza nei confronti delle persone più fragili. La forbice in cui si collocano gli interventi previsti da questa legge di stabilità 2015 prevede da un lato servizi all’infanzia: bonus bebè e asili nido, e dall’altro servizi per i gravi, i gravissimi disabili, i non autosufficienti, con una terza misura di contrasto alla povertà per le famiglie indigenti attraverso la social card.
Ma noi sappiamo bene quanto pochi siano i bambini che nascono in Italia, paese a crescita demografica prossima allo zero, e sappiamo come tra le nuove povertà emergenti ci siano soprattutto le famiglie separate, in cui il raddoppio dei costi dovuti proprio alla separazione, spinge molte persone a rivolgersi alle parrocchie, alle mense dei poveri, eccetera. E sappiamo, ancor più drammaticamente, che spesso le famiglie si separano proprio quando sono esposte a situazioni di gravi sofferenza, come la nascita di un figlio disabile o il sopravvenire di una patologia invalidante.
Il Governo quindi investe in servizi di assistenza all’infanzia e alla disabilità, sia pure in misura largamente inferiore alle necessità effettive, ma non investe su ciò che sta a monte di tutti questi problemi, e che è il cuore stesso della famiglia: la sua capacità di offrire a tutti i suoi membri quel bene immateriale che è la sua stabilità. Eppure quando una famiglia entra in crisi, paradossalmente i costi si moltiplicano. Si crea un circolo vizioso per cui la crisi cresce in modo esponenziale, si determina un veloce processo di impoverimento materiale e di depauperamento delle risorse affettive, indispensabili per far fronte alla malattia, ma soprattutto alla cronicità e alla disabilità.
E’ emblematica la vicenda dei giorni scorsi al Senato, in cui con un solo emendamento si è decretata la fine di quel tempo prezioso di riflessione e di ripensamento che la legge fissava prima di concedere la separazione definitiva. Si è passati dal divorzio breve al divorzio lampo, svalutando con poche righe quella cultura della famiglia che con molto buon senso prendeva atto delle possibili crisi che la famiglia può attraversare. Ma le riconduceva nella logica di un possibile ripensamento, evitando soluzioni drastiche, per garantire ai figli quel bene incommensurabile che è l’unità tra i genitori e dei genitori nei loro confronti.
La difesa della stabilità familiare oggi sembra proprio un’argomentazione fragile, difficile da sostenere nelle aule parlamentari, perché cozza contro la teoria dei diritti individuali, che oggi rappresentano il pensiero dominante dell’individualismo che permea tutta la nostra società. Mettendo in primo piano il combinato disposto di due esigenze legittime, quella della autorealizzazione e quella dell’autodeterminazione, le declinano fino a schiacciare altre esigenze non meno importanti, come il bisogno di relazioni di forti su cui potersi appoggiare sempre, ma soprattutto in tempi e momenti di crisi.
Eppure proprio l’esperienza di quest’ultimo decennio avrebbe dovuto farci toccare con mano come le nuove generazioni e le vecchie generazioni, giovani e anziani, sono sopravvissuti dignitosamente perché la famiglia ha fatto da volano alle politiche di welfare, pagando spesso sul piano personale il valore del far famiglia giorno per giorno. Politiche di welfare e politiche familiari non sono la stessa cosa, ma le prime cercano spesso di far fronte alla carenza di politiche familiari dando vita a servizi che vengono incontro alle difficoltà familiari.
Ma i servizi sociali ben poco possono davanti ad una famiglia disunita, davanti all’abbandono di bambini, di malati e di anziani, a cui in alternativa possono offrire solo famiglie affidatarie per i bambini o modelli di istituzionalizzazione più o meno adeguati per anziani e disabili.
Da questo governo ci saremmo aspettati qualcosa di più, e non solo in termini di legge finanziaria! non fosse altro che per aver difeso insieme a molti dei suoi esponenti in tante occasioni diverse il valore famiglia come motore della coesione e dello sviluppo sociale. Questa legge, che a conti fatti appare assai poco generosa verso la famiglia, si chiama legge di stabilità… e avremmo voluto che avesse tutelato la famiglia almeno sotto il profilo della stabilità, ma non sembra che il governo sia particolarmente sensibile sotto questo profilo. E a noi non resta altro che comportarci da minoranza convinta e combattiva, per non rassegnarci ai mille colpi, piccoli e grandi, che insidiano la famiglia con una insistenza sorprendente e francamente incomprensibile.