Un discorso da fare proprio. Non per impadronirsene, ma per assimilarlo come pensiero e come principio di azione. Quello di Papa Francesco a Strasburgo è un nuovo manifesto per l’Europa e per i cristiani impegnati nel sociale e in politica. 

Il Papa è impietoso nell’analisi, parla di un’Europa invecchiata, impaurita, ammalata di solitudine, “nonna non più fertile e vivace”, dimentica della sua storia e della sua anima.



Ma non è un discorso nostalgico, il Papa non chiede l’impossibile ritorno a forme del passato, anzi, dice sorprendentemente che la storia europea, come storia di “bellezza”, di “carità” e di “edificazione umana” è una storia “in gran parte ancora da scrivere”.

Papa Francesco ne individua l’obiettivo: “costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili”. Suggerisce il metodo: “mantenere viva la democrazia in Europa”. E riempie di contenuti questa parola, democrazia, che lui stesso definisce a rischio di un “nuovo nominalismo politico”, una citazione retorica cui non corrisponde una realtà concreta.



Il contenuto che dà sostanza alla democrazia è, per il Papa, in fondo uno solo: la “dignità trascendente” dell’uomo. Francesco la declina a vari livelli: affermare la dignità della persona significa riconoscerne “la preziosità che ci è donata gratuitamente”, quindi l’impossibilità di considerarla un oggetto “di cui si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità” in modo da poterla buttare quando non la si considera più tale perché vecchia e malata. Scagliandosi contro i “tecnicismi burocratici” il Papa riafferma la centralità di un “autentico orientamento antropologico” che rifiuti la riduzione dell’essere umano a “meccanismo”, scartato quando non serve, come nel caso dei “malati terminali” o dei “bambini uccisi prima di nascere”. 



Affermare la dignità di una persona vuol dire anche “ungerla con il lavoro”. Su questo punto l’indicazione “politica” del Papa è inequivocabile: l’Europa torni a fare politiche che creino occupazione e che aiutino a riscoprire il significato del lavoro. 

Ma anche il lavoro non è da idolatrare, non è fine a se stesso. Il primo ambito in cui si realizza ogni persona, dice con coraggio Francesco, è l’educazione, rimarcando il valore primario della famiglia e delle istituzioni educative. Il lavoro, secondo ambito in cui ognuno mette a frutto i suoi talenti, serve a “garantire la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli”, il nostro primo contributo al vivere sociale e al suo bene comune. Spesso, complice la crisi nella quale ci dibattiamo da anni, ce ne dimentichiamo e riduciamo tutto il nostro pensare e agire alla sfera economicistica che diventa scopo a sé stessa. 

E poi il Papa parla di ecologia, del creato e della persona, di solidarietà e sussidiarietà come principi dell’Unione europea, della capacità di accoglienza e nello stesso tempo di aiuto concreto a risolvere nei paesi originari le cause di tanta migrazione per disperazione.

Il cristianesimo può dare il suo contributo alla costruzione di questa umanità più vera che resta il compito dell’Europa, non solo con il patrimonio socioculturale accumulatosi in duemila anni di storia, non certo priva di errori, ma anche e forse soprattutto “con il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita”. La forza di una tradizione si manifesta in una capacità di presenza oggi, di fronte alle nuove sfide che la storia pone. Come diceva già Benedetto XVI nel suo discorso al Parlamento inglese, questo contributo non è un attentato alla laicità dello Stato, ma piuttosto una suo arricchimento.

C’è un ultimo monito che sento di dover raccogliere del discorso del Papa: la sferzata sul “silenzio vergognoso e complice” di fronte alla persecuzione dei cristiani. L’Europa è rinata dopo la vergogna assoluta della persecuzione degli ebrei, non sarà di nuovo veramente sé stessa se non saprà fattivamente intervenire come protagonista sulla scena internazionale per tutelare il diritto di ognuno di esprimere il proprio pensiero e di professare la propria fede. Se non difendete questa libertà – ci dice il Papa – di quale dignità dell’uomo parlate?

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