Caro Pasolini,
ieri — mentre il nostro paese si fermava per ricordare i propri defunti — ricorrevano i trentanove anni dalla tua morte. Inizia così oggi “l’anno pasoliniano” che ci porterà a celebrare nel 2015 i quarant’anni dal tuo misterioso e tragico addio alla vita. Eppure, caro Pier Paolo, le tue parole, le tue poesie, le tue scene, sembrano ancora dette, scritte e girate ieri. In questi quarant’anni, infatti, il tuo paese è cambiato davvero poco: forse oggi siamo più secolarizzati, più tecnologici, più economicamente e psichicamente depressi, ma — sostanzialmente — siamo rimasti sempre gli stessi, siamo rimasti conformisti. 



Il conformista non è colui che si adegua alla moda del momento, ma colui che ha paura della verità, di guardarsi veramente allo specchio. Tu Pier Paolo ci hai scandalizzato perché hai avuto il coraggio di specchiarti davanti a tutti, hai avuto il coraggio di mostrarci la tua luce e le tue tenebre e, semplicemente, non ti sei nascosto. Un uomo così fa paura, ancora oggi, perché trasmette alla società una parola proibita, vergognosa: il bisogno di redenzione. Con la tua vita, Pasolini, ci hai infatti mostrato che il nostro modo di amare, di pensare, di lavorare e di concepire la realtà ha un bisogno radicale di redenzione. Noi, col nostro piccolo potere, cerchiamo tranquillità, tu, col tuo drammatico disagio, hai sempre e solo cercato redenzione.



Ci fai paura, Pierpaolo, perché la redenzione tu non l’hai cercata in ciò che sapevi già, ma in ciò che non conoscevi ancora. Non ti sei rivolto agli amici, all’amore, alla fede, come chi pretende tutto da ciò che lo circonda, ma come chi — in ciò che lo circonda — mendica il Tutto, ha bisogno di andare Oltre. Come una moderna Eva, hai allungato la mano al frutto di un albero proibito che ti ha reso capace, improvvisamente, di renderti conto che eri nudo, che avevi bisogno di coprirti, di vestirti, di iniziarti veramente ad amare. Quel frutto, però, non consisteva tanto nella tua omosessualità che, lo diciamo oggi con grande ironia, scandalizzava più i tuoi amici comunisti che i tuoi amici cattolici, ma nel tentativo di essere onesto, di guardare le cose per quello che sono e che suggeriscono. 



Trasgredire, dopo tutto, è proprio questo: dare un nome vero alle cose, accettare che esse esistano e lasciare che ci cambino. Il trasgressivo non è colui che va controcorrente, non è l’anarchico o l’anticlericale, il trasgressivo — direbbe Nietzsche — è l’uomo fedele alla propria terra, colui che non accetta per niente al mondo di essere inquadrato dal potere, di diventare strumento di qualunque potere.

Oggi noi ci sentiamo trasgressivi perché sappiamo correre lontano (magari in Australia o in Inghilterra, magari da nostra moglie o dai nostri genitori) e perché siamo diventati maestri nello svincolarci dai legacci di ogni appartenenza, rivendicando col diritto ogni sorta di libertà, ma il problema — caro amico — è che nessuno di noi sa verso cosa sta correndo; cerca non per trovare se stesso ma per sfuggire da ogni consapevolezza, consumando tutto ciò che incontriamo, violentando tutto quello che amiamo. 

Una volta ci hai detto che il corpo è l’unica terra che non può essere colonizzata dal potere perché ci consente di incontrare realmente la vita. Devi sapere che noi, all’inizio di questo millennio, siamo pieni di sintomi fisici e psichici, ma siamo totalmente incapaci di dialogare con essi per scoprire — dentro ciascheduno — una domanda più vera e più radicale, un bisogno di amore e di verità che né il godimento, di cui siamo maestri, né la legge, della quale siamo sudditi, ci possono dare. E’ questo, Pasolini, il nostro piccolo mondo borghese, la tua Italia. 

E adesso forse puoi capire, meglio di chiunque altro, che il nostro cuore, le nostre mani e i nostri occhi, altro non chiedono di partecipare ad una Vita che non sia la Nostra. Una Vita così piena che non abbia più bisogno di bugie per essere vissuta. Ma solo del liberante pianto che proviamo ogni volta che siamo al cospetto della Verità, del Volto di quel Dio che — ne sono certo — non smette di commuoversi ogni volta che tu gli leggi una delle tue poesie. Salutacelo e, se vuoi darci una mano, ridesta nei ragazzi che ti leggono e che ti ascoltano la fame di quel Cristo che anche tu hai raccontato. E che rappresenta, per ognuno di noi, il vero Colombre — il vero tormento — della nostra povera esistenza.

Grazie Pier Paolo, grazie della compagnia che il Tuo cuore ha provato a fare al nostro cuore. Di persone come te noi, oggi, sentiamo proprio la nostalgia.