In occasione della solennità di San Carlo Borromeo, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola presiederà la Messa Pontificale in Piazza Duomo a partire dalle 18,30. La cerimonia vedrà il vescovo celebrare insieme a Dionigi Tettamanti e i  quattro rappresentanti delle istituzioni riformate o fondate da San Carlo: si tratta da monsignor Gianantonio Borgonovo, arciprete del Duomo, monsignor Bruno Marinoni, moderator Curiae, monsignor Pietro Cresseri, prevosto generale degli Oblati dei Ss. Ambrogio e Carlo, monsignor Michele di Tolve, rettore del Seminario. Il rito esprimerà inoltre il ringraziamento per la beatificazione di Papa Paolo VI. Nel corso dell’evento Scola utilizzerà oggetti e paramenti liturgici dei due protagonisti: nel corso dell’eucarestia il cardinale solleverà il calice di San Carlo donato dalla famiglia Borromeo al cardinale Andrea Carlo Ferrari; di San Carlo è anche l’anello che avrà al dito, mentre del cardinale Montini porterà il bastone pastorale, la mitra, la croce e la casula (donata Montini nel 1967 dai vescovi cinesi). Inoltre, la commemorazione vedrà altri reliquiari del nuovo Beato: le maglie insanguinate che Paolo VI indossava sotto i paramenti durante il suo viaggio apostolico a Manila nel 1970, quando fu vittima di un tentativo di attentato sventato.



“Per la nostra diocesi la festa che ricorda la santità del nostro vescovo significa fondamentalmente rendere grazie al Signore per il magistero di San Carlo e per la sua opera pastorale che ha segnato profondamene la nostra Chiesa”. Lo ha detto ai microfoni di Radio Marconi don Michele Di Tolve, Rettore maggiore del Seminario Diocesano (clicca qui per ascoltare l’audio). In continuità con l’opera iniziata da Sant’Ambrogio, San Carlo Borromeo “è una pietra miliare all’interno del percorso della nostra chiesa diocesana – ha aggiunto – Soprattutto la nostra diocesi in più momenti si è riferita a lui per verificare la fedeltà di questa chiesa al Signore, perché è appunto pastore secondo il cuore di Dio, perché dedito completamente alla vita del suo popolo e perché ha aiutato a essenzializzare il riferimento della fede alla figura di Gesù e al Mistero Pasquale”. San Carlo è ovviamente anche una figura fondamentale per il seminario perché sua fu l’intuizione dopo il concilio di Trento: “Il nostro co-patrono è davvero stato colui che ha dato impulso al rinnovamento della pastorale proprio inventando il seminario – ha concluso don Di Tolve – istituito il 10 dicembre di 450 anni fa (1564)”.



Nel giorno 4 novembre, la Chiesa Cristiana onora e ricorda San Carlo Borromeo, uno dei vescovi più noti della storia, reso celebre non solo dall’apostolato svolto, ma anche da una lunga serie di opere dottrinarie e dalla estrema devozione che ne caratterizzò l’esistenza. Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, secondogenito di Giberto, un nobile che esercitava la sua influenza sulla zona del Lago Maggiore e sulle terre rivierasche, a dodici anni, come prescrivevano le usanze in voga all’epoca per i rampolli delle famiglie nobiliari, venne sottoposto a tonsura. Recatosi a Pavia, dimostrò ottime doti nello studio, grazie a facoltà intellettive di primo piano tali da farne presagire una ulteriore crescita. Spostatosi a Roma, a soli ventidue anni fu chiamato a rivestire le funzioni di cardinale, favorito anche dalla parentela con il Papa Pio IV, che era suo zio. Ben presto, però, San Carlo Borromeo si dimostrò degno del cappello cardinalizio, proseguendo allo stesso tempo gli studi incessanti che lo avevano caratterizzato sino a quel momento. Promosse la fondazione dell’Accademia delle Notti Vaticane, per poi essere inviato al Concilio di Trento. In questa importante assise, tenne un profilo basso, non risparmiandosi però la consueta mole di lavoro, soprattutto tramite la stesura di una lunga serie di rapporti sugli eventi di cui era testimone.



Quando morì il fratello maggiore, nel 1562, decise di non chiedere la secolarizzazione, che gli avrebbe consentito di porsi nelle vesti di capofamiglia, restando invece a Roma, ove fu consacrato vescovo l’anno successivo. Aveva soltanto venticinque anni e la sua destinazione fu quella di Milano, la città cui avrebbe legato in maniera imperitura il suo nome. Il capoluogo lombardo era un vero e proprio regno, che si dipanava su parte della Lombardia, sulla Liguria, sul Veneto e affondava le sue propaggini in Svizzera. San Carlo Borromeo decise quindi di conoscere più compiutamente la sua arcidiocesi prima di mettersi al lavoro, soprattutto al fine di capire le condizioni del clero e i modi in cui era portata avanti la sua formazione. In questo senso va perciò vista la sua decisione di fondare seminari e edificare ospizi ed ospedali, coi quali portare avanti l’opera di carità nei confronti soprattutto della parte più indigente della popolazione. Anche la sua fortuna personale e quelle della sua famiglia furono peraltro profuse a piene mani al fine di migliorare o alleviare le condizioni dei poveri. 

Il suo operato fu aspramente contrastato dai potenti locali, tanto da costringerlo infine a scendere in campo personalmente al fine di riaffermare i diritti della Chiesa e rintuzzare le aspre critiche provenienti dagli ambienti più retrivi della buona società meneghina. Allo stesso tempo decise di riportare il massimo di ordine all’interno dei conventi. Un lavoro che gli procurò una decisa opposizione e anche un attentato alla sua persona, ad opera di un frate, proprio mentre era dedito alle consuete preghiere nella sua cappella. Un attentato che non andò a buon fine e che ebbe come unico risultato quello di accrescere ulteriormente la sua fama.

Fu in particolare nel corso della terrificante peste che colpì il capoluogo lombardo nel 1576, che San Carlo Borromeo ebbe occasione di accrescere a dismisura il suo prestigio. In questa occasione, infatti, il Cardinale di Milano si attivò in maniera pressoché instancabile per cercare di ovviare alle terribili conseguenze di carattere sanitario del morbo dando vita a una lunga serie di operazioni tese a formare una rete di assistenza adeguata, guadagnandosi la stima eterna della popolazione. In conseguenza di questo fervente apostolato, San Carlo Borromeo divenne un modello cui guardare, soprattutto da Roma, ove in molti non ebbero dubbi nello spendere parole di grande ammirazione per quanto stava accadendo a Milano. 

Proprio i continui impegni, che San Carlo Borromeo accettava del resto senza mai risparmiarsi, a gioco lungo cominciarono ad avere conseguenze sulla sua fibra, soprattutto quando il Vescovo di Milano decise di continuare le visite pastorali, le veglie e i digiuni senza curarsi della febbre che lo stava divorando. Un operato portato avanti sino all’ultimo giorno della sua vita, il 3 novembre del 1584, quando San Carlo Borromeo morì all’età di soli quarantasei anni, lasciando ai milanesi un ricordo paragonabile soltanto a quello di Sant’Ambrogio.