Nessun colpevole, tutti colpevoli. Questa la sentenza amara che chiosa il fascicolo giudiziario Stefano Cucchi. Mancanza di prove: le prove di chi l’abbia picchiato, quel corpo tanto fragile e macilento, malato. Chi abbia nascosto le botte, di più, l’uomo, perché le ecchimosi sul cadavere non si sono formate post mortem, qualcuno doveva averle viste. Le prove di chi ha nascosto i colpevoli, forze dell’ordine o medici o infermieri. Le colpe di chi soprattutto non ha saputo svolgere in cinque anni le indagini comme il faut. 



E’ uno dei mali della nostra giustizia ingiusta: se non c’è una telecamera o un Ris che ti scodella il dna rilevato sulle tracce, se non c’è qualche soffiata di mafia o camorra, le indagini non le fa più nessuno, solo Montalbano. Passa il tempo, il quadro si confonde, gli interessi da toccare frenano, e si scivola via verso l’assoluzione, per mancanza di prove. O verso la condanna, su base indiziaria, è lo stesso: siamo testimoni di galera inflitta per soddisfare l’accanimento mediatico, e non è ingiustizia minore di quella che patiscono i familiari di Stefano. 



Questo è il timore: che in assenza di imputati, tocchi inventarsi un processo bis per scovarne qualcuno, capro espiatorio di uno Stato che non assumendosi le responsabilità, crede di non avere responsabilità. Tutti parlano, pontificano o denigrano, si indignano. E nessuno che parli davvero. Anche il presidente del Senato, qualche soffio sibillino l’ha fato trapelare. Chi sa parli, anche lei, presidente. Non può immaginare che qualcuno abbia taciuto qualcosa. Bisogna dirlo ad alta voce, tirar fuori i sospetti, per rispondere davvero a quella famiglia coraggiosa, a quella sorella così caparbia nel chiedere verità.



Temo un nuovo processo, e magari si trattasse di rivedere una sentenza assurda, con coscienza e determinazione. Temo la gogna per qualche povero diavolo, per scrollarsi di dosso l’onta di aver lasciato solo un ragazzo, debole, disperato. Per averlo abbandonato all’indifferenza, senza ascoltare il grido muto, ma chiaro, forte che ha gettato invano al mondo con il suo corpo piagato. Questa potrebbe essere la verità più terribile. Che Stefano l’abbiano ucciso la trascuratezza, il menefreghismo, il pregiudizio. Era un drogato. Era malato. Era da qualche parte, non si sa chi se n’è preso cura. Chi era, perché era in quelle condizioni, che aveva fatto di tanto grave. Boh. 

La burocrazia uccide, e fa sì che gli avvocati non arrivino in tempo, che la famiglia non sia stata avvisata, che i medici non avessero visto. Troppo strano, per essere casuale. Bisogna vederle, le fotografie dei Stefano Cucchi. Se questo è un uomo. 

Non bastano risarcimenti economici, non bastano generici compianti e  rassicurazioni per tacitare le voci scomode dei suoi cari. Ora, vorremmo che i magistrati impotenti a stabilire il calvario di quel ragazzo, si levassero il manto della giustizia e alzassero bandiera bianca, cambiando mestiere. Che la smettessero di arroccarsi a difesa della categoria, ultima casta di intoccabili, millantando sacrileghi attacchi al diritto se gli si alza il dito in faccia, come Ilaria Cucchi. Qui non avete l’alibi della politica. Non era manco di destra, Stefano Cucchi. 

Dopo di che la giustizia degli uomini non sarà mai giusta. Non lo è per chi marcisce in carcere, anche se ha cambiato vita e può dar lezione di morale a chi è fuori. Non lo è per chi  attende una condanna, che non sia mai vendetta, per il suo bene! Il giusto soffre. E il giusto dei giusti accoglie le sue sofferenze, crede chi riesce a scorgere Dio nel volto tumefatto di Cristo. E’ un volto buono, che guarda anche chi non crede in lui, e dà pace, e consolazione. L’alternativa è la rassegnazione, o la rabbia corrosiva, perenne.