Non so che tipo di rapporto abbiate con i videogiochi e come vi comportiate con i vostri figli. Io ne ho sempre subito il fascino, ma da quando, ancor adolescente, ho passato giornate e nottate per concludere un adventure game, ho deciso di mantenere un certo distacco. Se ci gioco, mi faccio coinvolgere. Parecchio. Ricordo ancora lo stupore di mio nipote che, avendomi lasciato la sua console per le vacanze estive, al rientro mi aveva ritrovata super competitiva e abilissima. 



Oggi, a distanza di diversi anni, in casa mia c’ è sempre un grande dibattito su quanto tempo i nostri figli debbano passare davanti alla Playstation o attaccati al tablet, se siamo in viaggio. Le discussioni in famiglia sono abbastanza periodiche. Siamo d’accordo che non ci debbano stare tutto il tempo, ma spesso ci scontriamo sul loro ruolo e sull’assiduità. Da parte mia ritengo che, avendo dei bambini che stanno a scuola dalle 8.30 della mattina alle 16.30 del pomeriggio e che fanno attività sportive un paio di volte alla settimana (partite del weekend escluse) a diretto contatto con compagni, compagne e altri coetanei, sia ragionevole pensare che possano passare del tempo, anche tutti i giorni, giocando coi videogiochi. 



Credo che abbiano, quotidianamente, la loro giusta componente di socialità e di confronto umano con gli altri. Con la famiglia, con i compagni di classe, con le insegnanti, con gli amici. Mi sembra che sia corretto che possano impiegare il tempo anche in modo diverso da quello facevo io alla loro età. Le nuove generazioni che ci siamo abituati a definire “native digitali”, lo sono anche per questo. Perché nascono con un tablet o uno smartphone in mano e appena sono in grado di interagire attivamente, ci spiegano e ci fanno scoprire funzionalità di cui ignoravamo l’esistenza. 



Apprendono tutto a una velocità supersonica che è determinata in larga parte dagli stimoli ai quali sono sottoposti e, in questo senso, la componente ludica è fondamentale. Lo è sia quando vanno a giocare a pallone con gli amici in giardino, ma anche quando si immergono in un’avventura con una console. In questi giorni, tuttavia, mi è capitato di riflettere su un’altra tematica che non avevo considerato appieno finora. Il ruolo che i videogiochi hanno assunto per la formazione della coscienza di un individuo, il valore educativo che esercitano e che può portare a scelte di vita straordinariamente importanti. Per esempio quella che può guidare anche una persona debole a ribellarsi per affrontare quella che ritiene una grave ingiustizia. 

“Il protagonista (dei videogame, ndr) – ricordava Edward Snowden, il giovane informatico che ha lavorato per CIA e NSA e che ha fatto scoppiare lo scandalo Big Data negli USA e nel mondo –  è spesso uno come tanti, che si ritrova faccia a faccia con un grave torto compiuto da una forza possente e può scegliere di fuggire impaurito o di combattere per ciò in cui crede. Anche la storia, poi, mostra che le persone all’apparenza comuni, ma decise a perseguire la giustizia, possono trionfare sugli avversari più formidabili”. Da queste parole, narrate dal premio Pulitzer Glenn Greenwald nel suo libro “No place to hide”, emerge con grande forza che un ruolo decisivo nella scelta di diffondere informazioni segrete e di mettere a repentaglio la propria esistenza e quella dei propri cari, è stato esercitato su Snowden dalla sua formazione di utente di videogiochi. Lo stesso Greenwald non nasconde che in passato aveva sottovalutato e quasi irriso una simile affermazione, ma poi aveva capito che era necessario non sottovalutarla ed anzi prenderla sul serio.

“Per la generazione di Snowden – dice infatti Greenwald nel suo libro –  i giochi elettronici hanno contribuito a modellare la coscienza politica, la moralità e la percezione del proprio posto nel mondo almeno quanto la letteratura, la televisione e il cinema. Spesso i videogiochi presentano complessi dilemmi etici da affrontare e stimolano il ragionamento autonomo, specie nei ragazzi che sono in quella fascia di età in cui cominciano a mettere in dubbio gli insegnamenti ricevuti”.

Non so se questa sia la strada giusta per formare i cittadini di domani. Senza dubbio penso che non sia l’unica. E mi auguro che il contatto con le persone, il dialogo, il dibattito e talvolta anche una dialettica accesa possano esercitare un ruolo altrettanto importante, insieme alla lettura e alla voglia di essere informati per poter essere in grado di giudicare e di assumere una posizione chiara. Ma se, anche grazie ai videogiochi, avremo nella società di domani donne e uomini con una coscienza più forte, ben vengano i pomeriggi da soli o con gli amici davanti ai videogame.