Il sospetto che grava su Daniela Poggiali, infermiera dell’ospedale di Lugo in provincia di Ravenna, si fonda su alcuni fatti. La donna è già in carcere da ottobre in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio volontario pluriaggravato, accusata di aver somministrato una dose di potassio (la stessa sostanza usata per eseguire le pene di morte negli Stati Uniti) ad una paziente settantottenne deceduta nell’aprile scorso: il potassio sarebbe stato trovato, oltre che nel corpo della donna, anche nel tubicino della flebo, dove avrebbe potuto essere solo per l’intervento esterno e volontario di qualcuno che glielo avesse iniettato con una siringa.
Ma le morti sospette sarebbero decine, come sottolinea il procuratore capo di Ravenna Alessandro Mancini. È sospetto, in particolare, il numero di decessi avvenuto durante i turni della Poggiali: 93, mentre la media per infermiere nello stesso ospedale è di 30 e il collega col più alto numero di decessi dopo di lei ne conta meno della metà. Per questo le indagini proseguono, pur tra “difficoltà insormontabili”, come dichiara ancora il procuratore Mancini al Daily Mail, che prontamente titola: “Is Italy’s ‘Angel of Death’ the world’s worst serial killer nurse?” (si noti il linguaggio parossistico e scandalistico del giornale inglese: “È l’angelo della morte d’Italia la peggior infermiera serial killer del mondo?”).
Ad aggravare i sospetti l’atteggiamento dell’infermiera stessa, che al momento dell’arresto non ha avuto reazioni, tenendo un atteggiamento imperturbabile e di ghiaccio, a detta dei carabinieri stessi. Non solo: alcune foto la ritraggono con un sorriso sarcastico; altre foto, poi, scattatele da una collega di fianco a pazienti deceduti, spedite su whatsapp e oggi purtroppo comodamente visibili su internet, la mostrano in atteggiamenti strafottenti e irrisori. Per questo motivo la Poggiali e la collega sono state licenziate.
In tutta questa storia, allo stato attuale, il condizionale è d’obbligo; anzi ci si deve davvero augurare che la storia della peggior infermiera-killer del mondo non sia vera. Ma se si avvera la figura di una persona che, secondo leparole del gip, “trae piacere e soddisfazione dalla mortificazione del prossimo giungendo fino all’atto estremo dell’uccisione” da cui l’esigenza di custodia cautelare, dato che secondo i magistrati Daniela Poggiali potrebbe uccidere in ogni momento “per attuare il proprio desiderio di affermazione”, allora viene da chiedersi fino a che punto dovremo stupirci della capacità dell’uomo di compiere il male.
E, ancora di più, stupisce la possibilità di un sorriso beffardo, indice di un totale distacco dalla realtà, dal gesto terribile e ripetuto che si compie.
Se la colpevolezza dell’infermiera verrà dimostrata cioè, verrà dimostrata anche la totale disfatta della coscienza: cosa permette ormai di distinguere il male e cosa impedisce di commettere gli atti più efferati con atteggiamento canzonatorio? Viene in mente quello che dice Ivan, il fratello mediano dei Karamazov di Dostoevskij: “Se distruggete nell’uomo la fede nella propria immortalità (nel destino aggiungiamo, in Dio stesso), subito si inaridirà in lui non solo l’amore, ma anche qualsiasi forza vitale capace di perpetuare la vita nel mondo. E non basta: allora non ci sarà più niente di immorale, tutto sarà permesso”.