Nella giornata del primo dicembre, la Chiesa ricorda, tra gli altri, anche San Naum (o Nahum), che fa parte del gruppo dei dodici profeti minori (occupando il settimo posto). Il santo, il cui nome significa “consolato da Jahvé”, nacque a Elcos, nella regione della Galilea, nel VII secolo a.C, almeno secondo quanto riferito dai racconti di San Girolamo. Scarsissime sono le notizie che compongono la sua biografia: tra le poche cose che si sanno di lui c’è il fatto che, molto probabilmente, assistette alla caduta della città di Ninive (612 a. C.) e che predicò nell’arco di tempo che va dal 662 a. C fino a questo avvenimento. E’ autore del quarantunesimo libro del’Antico Testamento, quello in cui viene narrata la decadenza dell’Assiria, temibile rivale di Israele. Questo libretto, che è suddiviso in tre parti, si presenta come una lamentazione dai toni fortemente sarcastici e aspri, perché con essa il profeta pare esprimere dolore e grande delusione per la rovina della potente città assira, avendo tuttavia l’intento opposto: il suo scopo, infatti, è quello di gioire per la giusta punizione ricevuta dalla città che vessava ingiustamente Israele, sottolineando al contempo la grandezza di Dio, manifestatasi appunto con la giustizia che Egli aveva saputo fare conducendo al disfacimento la grande potenza assira. Con tale scritto, la rovina dell’avversaria di Israele diviene emblema del trionfo del Signore sulle forze del male, capace di restituire ai più deboli la possibilità di immaginare un avvenire ove sottomissione e vessazione non siano contemplate. In questo canto, il profeta fa una cronaca praticamente diretta degli eventi che accaddero sotto i suoi occhi, tracciando inoltre un parallelo con un altro avvenimento verificatosi in precedenza, vale a dire la caduta di Tebe, capitale dell’Egitto distrutta nel 663 a. C. proprio per mano degli assiri guidati da Assurbanipal. Tale rievocazione ha l’obiettivo di sottolineare ancora una volta come Dio abbia voluto punire un popolo che aveva fatto della forza bruta e della violenza contro gli avversari il proprio segno distintivo, riservando ad esso lo stesso destino che in passato questo aveva inflitto ad altri popoli. Gli Assiri infatti avevano condotto Tebe alla rovina servendosi di azioni dall’inaudita ferocia, spingendosi fino al punto di massacrare bimbi innocenti. In sostanza, il monito che egli desidera lanciare dalle righe del suo libretto profetico sembra voler dire che l’ira di Dio, prima o poi, colpirà tutti coloro che pensano di sopraffare gli altri con le armi della violenza e delle prepotenze. Il profeta morì in un imprecisato anno del VII secolo a. C. e la sua memoria è stata fissata dalla Chiesa cattolica nella giornata del primo dicembre. Egli viene sovente rappresentato con in mano il rotolo della profezia.