Sedici anni di carcere, la metà di quanto aveva chiesto l’accusa. E’ questa la sentenza del processo di terzo grado che dopo due assoluzioni consecutive vede adesso Alberto Stasi riconosciuto colpevole di aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi. La sentenza ridotta si giustifica con l’esclusione dell’aggravante di crudeltà richiesta dal procuratore Laura Barbaini, Stasi è condannato anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Dovrà poi risarcire la famiglia Poggi per una cifra di un milione di euro per padre, madre e fratello. Ancora oggi Stasi aveva dichiarato la sua innocenza, parlando prima del ritiro dei giudici per sentenziare: “Non cercate a tutti i costi un colpevole condannando un innocente. Sono anni che sono sottoposto a questa pressione. Mi appello alle vostre coscienze: spero che mi assolviate”. Non è andata così.

E’ attesa fra poco la sentenza di appello sul caso del processo per la morte di Chiara Poggi, il suo fidanzato rischia trenta anni di carcere dopo essere stato assolto in primo grado e secondo grado. Intorno al palazzo di giustizia di Milano c’è l’assedio dei cronisti e delle telecamere. Nel corso dei nove mesi di questo ultimo processo sono emerse nuove prove e nuove piste, ma difficilmente si potrà comunque parlare di verdetto chiaro e definitivo perché rimane sempre un gran alone di mistero. La prova più schiacciante è senz’altro il nuovo esame delle impronte lasciate sul sangue della ragazza, impronte che dimostrerebbero che lo Stasi si sia pulito accuratamente le suole delle sue scarpe perché praticamente impossibile non se le fosse sporcate entrando nell’abitazione quando trovò il cadavere di Chiara. Secondo l’accusa, il giovane avrebbe colpito più volte la ragazza sfondando la calotta cranica e quindi gettato il corpo giù dalle scale della cantina privo di “qualsiasi pietas, volendo in qualche modo liberarsi con rabbia di quel corpo”.

Sentenza di appello, oggi, cinque anni dopo quella di primo grado. Alberto Stasi, unico sospettato di aver ucciso Chiara Poggi, sua fidanzata, rischia una condanna a trenta anni di carcere, dopo che in primo grado venne assolto. Un caso cominciato il 13 agosto 2007 quando lo Stasi entrato nell’abitazione della famiglia Poggi a Garlasco in provincia di Pavia e trova, secondo la sua dichiarazione, il corpo senza vita di Chiara. Oggi pomeriggio la sentenza del processo di appello bis celebrato con rito abbreviato e a porte chiuse. L’accusa cerca di ribaltare quanto sentenziato in primo grado grazie a nuove prove e nuovi elementi, mentre la difesa parla di processo lombrosiano e senza prove. Tra le nuove prove, quella delle scarpe dello Stasi e la sua camminata: impossibile camminare sul pavimento sporco di sangue senza sporcarsi le suole delle scarpe mentre l’unica impronta ritrovata è del numero 42, lo stesso dello Stasi. Poi la bicicletta dello Stasi e l’inversione dei pedali con un’altra bici quando si disse ai tempi che gli inquirenti cercavano una bici nera come quella vista da un passante fuori della casa. E poi lo spazio temporale dalle 9 e 12 alle 9 e 35, tempo sufficiente per uccidere Chiara e tornare a casa a lavorare al computer.