Quante cose può voler dire il corpo di una donna! In questi anni lo si usa per pubblicizzare prodotti di tutti i tipi che con la femminilità, forse, non centrano molto. Un paesaggio: tanto verde, un bel laghetto, piccoli fiori di campo, sentieri che si inerpicano verso direzioni sconosciute, una panchina di legno occupata da un signore che con un bellissimo cappello di paglia legge il suo giornale, una strada ad alta percorrenza piena di automobili, bambini che giocano in un campo di pallone improvvisato, donne con borse del supermercato ferme a chiacchierare ed ecco finalmente una bellissima costruzione, modernissimo albergo a cinque stelle sullo sfondo.



E’ questo il soggetto da pubblicizzare ma a chi tocca questo compito? Al secondo piano una finestra spalancata mette in mostra in tutta la sua affascinante attrattiva, una splendida, giovane donna. Non sta facendo qualcosa di speciale, è solo lì, in mostra perché tutti la guardino. Eppure è l’albergo da pubblicizzare!



Analoghe situazioni vengono replicate più e più volte: il corpo della donna attira, affascina, incuriosisce, riempie di desiderio anche per ciò che la circonda. Molti anni fa sono nati i miei figli Cristiana e Stefano e il mio corpo di giovane donna non mi obbediva più. Le mie gambe snelle si gonfiavano, sotto il mio viso di solito scarno si formavano anche due o tre menti, il busto era informe. Una cosa del mio corpo era super evidente, il mio pancione. Prendeva forme strane e da un giorno con l’altro si gonfiava a dismisura. “Sono due gemelli?” chiedeva spesso la gente incontrata per strada.



La mia risposta era sempre no, naturalmente, perché il battito auscultato dal ginecologo risultava essere unico. Molto spesso accarezzavo questa pancia al cui interno sembrava succedesse di tutto. Giravolte, capriole, calci e pugni che mi tenevano grande compagnia. Una volta nato, guardavo ammirata il piccolo bimbo che tanto piccolo non era. Lui o lei non capivano, ma io insistentemente chiedevo: “Dove stavi tu? Come facevi a stare dentro quel pancione seppur grande?” Agitava mani e piedini quasi cercando una risposta da darmi. Che meraviglia!

Penso a una giovane ragazza, Miriam il suo nome, che lasciando in fretta la sua brocca alla fontana di Nazareth, tornò a casa spaventata. Qualcuno le aveva parlato: “Da te nascerà il Bimbo”. Non capiva Miriam, non comprendeva che cosa le stesse succedendo, ma disse di “Sì”. Quel suo corpo di giovane donna avrebbe fatto da culla al Salvatore del mondo. Tutte queste cose mi vengono alla mente un po’ alla rinfusa, leggendo la notizia di oggi: un bimbo è nato. Non è, per fortuna, una cosa così strana ed eccezionale ma, la cosa strana ed eccezionale sta nel fatto che quel bambino sia nato da un corpo di donna, un povero corpo cerebralmente morto, artificialmente nutrito, ossigenato e sostenuto da un cuore obbligato a battere i suoi ritmici colpi.

Quando alla giovane donna era accaduto il fatale attimo della emorragia cerebrale, 21 ottobre, la famiglia aveva esattamente chiesto di poter artificialmente far funzionare il suo organismo perché il suo bimbo, allora alla 23esima settimana, potesse nascere. Dovevano passare almeno altre cinque, sei settimane perché i piccoli polmoni maturassero e il figlio potesse sopravvivere. Al San Raffaele, si sono tutti impegnati, Luigi Beretta, Graziano Barera col suo team, l’équipe di Massimo Candiani, perché il miracolo potesse accadere.

Così oggi 18 dicembre questo piccolo Gesù è arrivato tra noi. La cosa è tanto meravigliosa quanto rara, è accaduta poche volte nel mondo. E allora penso a quel corpo di donna di cui verranno anche espiantati gli organi, quel corpo che dalla morte ha fatto fiorire la vita. Grazie Madre.