Per tre giorni abbiamo pensato, ma senza fare un passo, né avanti né indietro, e mantenendo il fiato sospeso e gli occhi semiaperti per capire cosa sarebbe potuto accadere. E oggi siamo a riflettere su un segno in controtendenza. Proprio nel momento in cui se ne sentiva la necessità. La Pastorale di Papa Francesco in Turchia, rispondendo all’invito del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, ha assunto, man mano che prendeva corpo, significati e simbolismi inaspettati. Dalla visita al Mausoleo di Ataturk, vero e solo padre della patria turca moderna, il cammino del Pontefice in terra anatolica ha preso un passo spedito verso l’avvicinamento alla questione più importante, quella dei cristiani in quel quadrante martoriato; un popolo dilaniato, ucciso, cacciato, annientato dalle forze terroriste e jihadiste di Isis. Un dramma in terra che guarda al cielo per trovare la salvezza.



E su questo Papa Francesco ha parlato chiaramente, con la nettezza che il mondo cristiano chiedeva al suo pastore, in giorni così drammatici per la cristianità intera. Ha parlato di Mosul e dell’Iraq, dei cristiani nelle mani del Califfo e della loro tragica fine. Speranza e dialogo nelle parole del Papa, che ha descritto il Corano come libro di pace e ha chiesto ai leader politici, intellettuali, accademici e religiosi musulmani nel mondo di unirsi per contrastare il terrorismo che imperversa nelle loro terre, dicendo esplicitamente che questo islam non appartiene loro. Parla chiaramente e apertamente di “salto di qualità” nel dialogo interreligioso non sulla base della teologia ma delle esperienze religiose. Proprio quelle esperienze che da tempo l’islam moderno pone alla base di ogni ragionamento in Occidente e nel mondo arabo, che al contrario di quanto non si possa credere, pensa ed elabora soluzioni ad un problema, l’integralismo estremista, che conosce bene da sempre e con il quale da sempre ha a che fare.



Papa Francesco ha dimostrato di sapere che il mondo arabo-musulmano ha la forza e il coraggio di dire no all’estremismo, nonostante alcuni suoi pezzi si ostinino ancora a spalleggiare i movimenti jihadisti e terroristi, per intenti le cui origini abbiamo descritto parlando del fallimento della primavera araba.

Una visita da pellegrino, come l’ha definita Bergoglio stesso, che ha destinato un lungo tempo alla preghiera nella Moschea Blu: una preghiera, come egli stesso ha precisato, dedicata anche alla Turchia oltre che alla pace. Ad una Turchia che oggi, come non mai, sente sul collo pressioni che vorrebbero farla tornare indietro nel tempo, ad un passato che l’aveva relegata ai confini del mondo, prima che Mustafa Kemal la riportasse a vedere la luce del progresso. 



L’immagine che mi ha di più colpito? Il Pontefice di Roma e il Patriarca di Costantinopoli uno davanti all’altro, per un percorso che cela in sé non solo tentativi di dialogo e di riavvicinamento ma anche un possibile fronte comune contro il male che si sparge e che certo non intende fermarsi. E potrebbe essere questo uno dei grandi passaggi storici a cui assistere in futuro: mentre l’islam accentua, a causa del jihadismo di Isis, le sue spaccature interne e si prepara ad un conflitto fra moderati e estremisti, nella sfera cristiana le varie anime potrebbero decidere dopo tempo immemore di riavvicinarsi, proprio quando la minaccia dell’estinzione, soprattutto in Medio Oriente, si fa sempre più concreta.

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