C’è inquietudine nel mondo delle cooperative sociali che operano nel settore carceri. Come ha denunciato un articolo pubblicato da ilsussidiario.net, da mesi il ministero della Giustizia tace sul rinnovo dei contratti delle cooperative in scadenza con la fine dell’anno, salvo alcuni giorni fa aver annunciato un prolungamento solo fino al 15 gennaio. Cosa questa che inquieta ancora di più i responsabili delle cooperative, perché lascia tutti nell’incertezza, quasi a significare l’ultima spiaggia, poi più niente. Cosa c’è dietro questo silenzio? Problemi burocratici, problemi economici o qualcos’altro? E’ un dato di fatto che le cooperative impegnate nelle carceri italiane da più di dieci anni hanno svolto un lavoro prezioso lodato dalle amministrazioni carcerarie stesse, nel percorso rieducativo dei detenuti. Secondo Cesare Mirabelli, docente di diritto costituzionale nella Pontificia Università Lateranense di Roma, contattato da ilsussidiario.net, “le cooperative sociali pagano oggi il prezzo dello scandalo romano che ha colpito le stesse cooperative. C’è probabilmente una esigenza adesso di verificare tutta la limpidezza di quel mondo, una esigenza giusta, ma attenzione che sia una verifica seria e non di chiusura di quello che c’è di buono”.



Professore, come giudica il fatto che il ministero da mesi non risponda alle richieste delle cooperative impegnate nel settore carcerario di rinnovo dei contratti?

Le ragioni possono essere molteplici, ad esempio un completamento delle procedure di revisione o ci può essere una interruzione di servizio anche solo per motivi burocratici.



C’è chi denuncia che lo scandalo delle cooperative sociali romane adesso lo si voglia far pagare ai detenuti, è una ipotesi realistica?

Può effettivamente esserci una cautela maggiore che nel passato nel rivedere l’intero settore per distinguere chi ha un contenuto positivo da chi ha invece un contenuto negativo. Questo purtroppo è un effetto di ritorno di questa caduta di immagine che la vicenda romana ha determinato.

Non pensa che però così si innesta un meccanismo punitivo per tutto il settore?

Ritengo che sia comprensibile una esigenza di verifica, potrebbe piuttosto essere non comprensibile l’opposto, cioè un non approfondimento nel distinguere  il buono dal cattivo.



Qualcun altro si è invece chiesto se la Cassa delle Ammende, che dal 2009 finanzia i programmi di reinserimento dei detenuti, non sia l’ente adeguato a sostenere economicamente questo impegno. Che ne pensa?

Innanzitutto si attinge dove sono le risorse. Aver preposto la Cassa delle Ammende poi (le sue entrate sono costituite dai proventi delle manifatture carcerarie ma anche e soprattutto dalle sanzioni pecuniarie disposte dai giudici e dagli importi relativi alla vendita dei corpi di reati, ndr) è in qualche modo simbolico, usare cioè le sanzioni in quanto queste cooperative tendono a partecipare a processi di rieducazione. Questi progetti sono una attività produttiva di impiego dei detenuti, è una finalità altamente positiva e fa parte di un percorso di reinserimento. 

 

A proposito di finalità positive delle cooperative in questa opera di rieducazione, come pensa che questi progetti possono migliorare le condizioni di tutti coloro che sono impegnati nelle carceri, dalla polizia agli educatori ai psicologi.

Avere dei percorsi lavorativi è essenziale perché consente di rendere attivi i detenuti, consente di dare anche una preparazione a un lavoro che può essere svolto dopo aver scontato la pena. E consente naturalmente una ricaduta positiva a tutti coloro che operano nelle carceri.

 

Il sistema carcerario italiano è stato spesso punito dalla Corte europea per quanto riguarda i diritti umani dei detenuti, non pensa che questa nuova problematica che concerne il diritto al lavoro dei carcerati possa innescare nuove reprimenda?

Diciamo che il diritto del lavoro c’è anche per i non carcerati, che ci sia una attività lavorativa per i detenuti certo ma attenzione a non enfatizzare questo in maniera tale che ci sia un atteggiamento reattivo dei tantissimi giovani che non hanno commesso alcun reato e che sono oggi a spasso.  La cooperazione sociale ha un grande ruolo che va salvaguardato dalle aggressioni interne, come purtroppo abbiamo visto a Roma dove si sono visti casi di sfruttamento o illecito. Ma certamente il detenuto ha diritto alla cittadinanza come tutti e questo va salvaguardato nel suo diritto al lavoro. 

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