Gesù non nacque in una stalla, ma a casa di parenti di Giuseppe. Lo afferma uno studioso della Bibbia, il reverendo inglese Ian Paul, che accusa la cattiva traduzione dal greco antico per quello che da duemila anni è un fatto storicamente accettato da tutti. La parola incriminata, secondo il reverendo, e tradotta malamente è quella di “kataluma”. Non significa locanda come si è sempre detto, ma bensì camera privata o alloggio. Partendo da quella cattiva traduzione, dice, si è detto che Maria e Giusepe vennero mandati via da una sorta di ostello finendo dunque in una stalla. Invece Giuseppe, che tornava a Betlemme, sarebbe stato accolto da suoi lontani parenti ma l’abitazione era già piena di persone, così invece di essere alloggiati in una stanza singola, vennero accolti nella sala comune della casa. Qui Maria avrebbe dato alla luce Gesù. Spiega poi che la disposizione delle case popolari del tempo prevedeva che gli animali venivano nutriti da una mangiatoia posta ai margini di quella stessa stanza: “Il luogo più naturale per deporre il bambino appena nato era quindi la mangiatoia, dove c’era paglia e calore, nella parte bassa della casa dove venivano tenuti gli animali”. Secondo il reverendo, l’idea storicamente accettata che la santa famiglia si trovasse da sola, lontana da tutti  in una stalla è grammaticalmente e culturalmente non plausibile. Era infatti impossibile, dice ancora, trovarsi da soli in quel particolare contesto. Per il reverendo, che insegna anche presso l’università di Nottingham, “Gesù non nasce da solo e abbandonato, ma nasce in mezzo a un ambiente familiare, dove tutti possono vederlo ed esige l’attenzione di tutti. Questa cosa dovrebbe cambiare radicalmente il nostro approccio a proposito della natività”.



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