“Tutti noi dobbiamo assumere lo sguardo di quel bambino. Uno sguardo che a volte può anche essere ingenuo, ma è sempre vero! Uno sguardo che dobbiamo mantenere per tutta la vita”. Il sussidiario propone ai suoi lettori la riflessione sul Natale del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia. Dal mistero del Dio fatto uomo alla crisi del nostro paese — “a ciascuno il suo, però mi sento di poter fare una preghiera a chi ci governa”… — fino alla domanda di pace, alla preghiera che, almeno per un giorno, come in quella miracolosa tregua di Natale cento anni fa, possano tacere tutti i conflitti.
Eminenza, Dio si fa uomo e viene ancora tra noi, dice la Chiesa. Ma cosa dice a noi uomini di oggi, in un mare di difficoltà e problemi quotidiani, questo annuncio che continua a ripetersi? Perché dovrebbe riguardarci? Perché occuparcene?
Rispondo con le parole lucide e commoventi che utilizzò don Divo Barsotti, più di trent’anni fa, alla vigilia di Natale del 1983: “Dio ci dona di celebrare il Natale non come attesa dell’ultima manifestazione del Cristo e nemmeno come semplice ricordo di un avvenimento passato, ma ci dà la grazia di vivere questo Natale per un nostro incontro con Lui, incontro nuovo che non determina nulla nel Figlio di Dio, ma determina una vera nascita, un vero rinnovamento per noi”. Ecco, dunque, perché ce ne occupiamo e perché ci riguarda: perché ci permette di nascere e di diventare uomini e donne; perché ci indica la via da seguire, è Lui la luce che illumina i nostri passi e ci indica il sentiero da percorrere. Senza di Lui ogni problema può diventare un abisso senza fondo e la vita può perdere di senso. Con Lui, invece, ogni fatto della nostra esistenza assume un significato autentico. La Sua presenza tra noi è, al tempo stesso, stupefacente e scomoda: da un lato, ci lascia senza fiato per l’immenso amore che ci ricolma; e, dall’altro lato, ci invita a non sederci, a non chiuderci in noi stessi, ma a guardare in alto, sempre verso il Cielo e a distaccarci dalle lusinghe della mondanità. In definitiva, come diceva sempre don Divo Barsotti, l’incontro con Dio ci riguarda perché “è una novità assoluta per l’uomo ed è sempre un morire e un risorgere”.
Chi crede è sempre sottoposto a un rischio: che la fede si inaridisca, che non abbia più nulla da dirci. Cosa resta? il ricordo, la nostalgia? Il darsi da fare per gli altri?
Qualche anno fa, un ragazzino, dopo aver visto un presepe in Chiesa, mi domandò: “perché Gesù bambino è coperto solamente da un piccolo pezzo di stoffa, mentre Giuseppe e Maria sono ben vestiti per coprirsi dal freddo?”. Ebbene questa domanda è centrale per capire cos’è la fede. Non solo per la grande acutezza della domanda — in effetti i Vangeli ci raccontano di un Gesù avvolto in fasce — ma per il modo di guardare a Gesù e al grande mistero dell’incarnazione. Tutti noi dobbiamo assumere lo sguardo di quel bambino. Uno sguardo curioso, genuino, puro, casto. Uno sguardo che a volte può anche essere ingenuo, ma è sempre vero! Uno sguardo che dobbiamo mantenere per tutta la vita.
E’ questa la fede?
La fede è sempre un combattimento e mai una certezza granitica da sventolare in pubblico come un trofeo. Tutti noi siamo chiamati ad essere come quel bambino che si interroga e che non si vergogna di fare delle domande. Perché significa che cerca. E chi cerca trova. La nostra fede, l’ho detto tante volte, non va confusa con un ferreo moralismo o con un affannato solidarismo. È qualcosa di molto più grande che non può essere racchiuso in alcun sensazionalismo o manicheismo di sorta. E ancor di più può essere racchiuso in un ricordo nostalgico. Non c’è nulla di nostalgico nel cristianesimo, perché l’incontro con Gesù avviene oggi. Oggi e non ieri! Oggi, in ogni donna e uomo che incontriamo, noi possiamo scorgere, se lo vogliamo, il volto di Cristo. E questo è meraviglioso!
Cos’ha da dirci il fatto che il nuovo inizio della storia è accaduto nel seno di una famiglia, la famiglia di Nazareth?
Ci dice due cose fondamentali: innanzitutto, che Dio ama i semplici, gli umili, gli ultimi. Che non si è manifestato al mondo in un incontro del G8 o in un convegno internazionale di filosofi. Il richiamo alla semplicità è fondamentale. Bisogna imparare, tutti quanti, a saper prendere la parte migliore e a non affannarsi troppo come faceva Marta. In secondo luogo, ci dice che la famiglia riveste una parte importantissima nella storia della salvezza. La bellezza di una famiglia unita, in cui si incontrano generazioni diverse, in cui si trasmette la fede, in cui possono nascere e crescere i bambini, è una meraviglia insuperabile agli occhi di Dio e un eccezionale modo di annunciare il Vangelo alla nostra società. Oggi, però, scrive il papa, nella Evangelii Gaudium la famiglia è “disprezzata e attaccata”. Per questo bisogna proteggerla sempre e averne grande cura. E occorre offrire uno sguardo misericordioso anche nei confronti di quelle famiglie separate e distrutte che, sempre più, sono davanti ai nostri occhi di pastori.
Le nostre evidenze morali, quelle che ci hanno insegnato da bambini, sono pressoché distrutte, e i giovani neppure le conoscono. Cosa rimane della tradizione che la chiesa ha costruito, oggi, intorno a noi?
Non sarei così pessimista. Il processo di secolarizzazione è stato, ovviamente, una sorta di tsunami che ha colpito ogni angolo della società occidentale. Ma come osservò sapientemente l’allora cardinal Ratzinger nell’incontro di Monaco del 2004 con Jürgen Habermas, questo processo non ha fatto tabula rasa del cristianesimo, come molti intellettuali (e anche molti profeti di sventura) avevano predetto. È forse successo l’esatto opposto: il cristianesimo è sopravvissuto in molte forme e luoghi diversi e nonostante le moltissime difficoltà continua ad essere vivo. Ciò che invece è finito, con un clamoroso fallimento, sono le religioni politiche laiche, protagoniste dell’800 e del 900. Di quella mastodontica costruzione filosofica e politica — che delineava un uomo felice e libero senza Dio — oggi non vi è più traccia. Certo oggi sta rinascendo una sorta di neopaganesimo magico a buon mercato ed è ben presente anche una forma, a volte aggressiva, di scientismo tecnico e biomedico. Nonostante ciò, il cristianesimo rimane, oggi, l’unica grande realtà morale di rilievo a livello mondiale. Una realtà che, ovviamente, si differenzia nelle varie zone del mondo. È diverso, per esempio, nel Mezzogiorno rispetto al Nord Italia. È differente nell’Europa meridionale rispetto a quello minimale dell’Europa settentrionale. Ed assume toni, sensibilità e colori diversi nelle cosiddette periferie del mondo.
Oggi siamo chiamati a lottare tenacemente contro il virus dell’individualismo che mina nel profondo la nostra società e a tenere viva la nostra tradizione — anche negli elementi più semplici, come il presepe —, ma anche a ravvivarla di continuo, senza avere paura del futuro, perché non dobbiamo mai dimenticarci che è sempre il Signore che guida la storia. Saper leggere i segni dei tempi, quindi, presuppone due cose fondamentali: discernimento e conversione. Queste devono essere le nostre bussole per vivificare la nostra grandissima tradizione e per poter affrontare, senza timore, il futuro che ci aspetta.
Il nostro paese sembra navigare a vista, preso in una crisi economica che non accennaa diminuire. Cosa chiede a chi ci governa?
Un pastore ovviamente non si occupa di politica — a ciascuno il suo! — però mi sento di poter fare una preghiera a chi ci governa. Questo Paese ha estremo bisogno di avere in fretta delle risposte concrete alla domande di aiuto che sorgono dal basso. Nel mio piccolo io mi trovo, quotidianamente, ad ascoltare le inquietudini e le sofferenze delle famiglie. Ci sono intere fasce di italiani che stanno perdendo non solo un’occupazione ma la speranza di vivere! Direi, quindi, che la prima cosa che mi sento di chiedere è l’unità di intenti da parte della classe dirigente del Paese. Oggi non servono litigi o scorciatoie. Servono persone di buona volontà, di ogni colore politico, che abbiano a cuore i destini di un popolo che sta soffrendo e che non riesce a risollevarsi. Le priorità irrinunciabili sono il lavoro e la famiglia. Bisogna dare uno sguardo speciale ai giovani, alle famiglie e alle giovani coppie. Sono loro la parte dinamica e produttiva del Paese. E infine, occorre concentrare il nostro sguardo all’immigrazione e al rispetto per la dignità umana in ogni momento dell’esistenza.
Lei, in questo natale, per che cosa prega? Che cosa chiede?
La preghiera più sentita è per la pace. Pace nei nostri cuori. Pace nelle nostre famiglie. Pace nei luoghi di lavoro. Pace in quei luoghi del mondo dove si combattono delle guerre atroci e dove le persone, solo per un motivo di fede, subiscono soprusi o vessazioni inaudite. Pace per tutti i cristiani perseguitati, pace per tutti quei rifugiati e migranti che trovano la morte sulle carrette del mare. Pace per tutte quelle donne e quegli uomini che vengono venduti in un’orribile tratta degli schiavi. Come cento anni fa, quando si svolse quella miracolosa tregua di Natale, durante la prima guerra mondiale – come ho scritto su L’Osservatore Romano – sarebbe bello che oggi, almeno il giorno di Natale, avvenga la stessa tregua dai conflitti. E poi auguriamoci che sia Natale in ogni giorno dell’anno.