Alla fine dell’anno aziendale diventa quasi automatico guardare a quello che è accaduto e i passi che si sono fatti e tentare di porsi dei nuovi obiettivi. Questo accade anche nell’ambito della vita personale. Così avevo cominciato anche quest’anno con un pezzo di storia più grande alle spalle. Sono ora sei anni da quando ho cominciato a lavorare aiutando veterani e giovani con disabilità. Il tempo di questa piccola riflessione coincide con una serie di avvenimenti drammatici quali le reazioni violente a Ferguson, Missouri, e  le proteste in molti stati dopo il verdetto e l’assoluzione del poliziotto bianco che aveva ucciso un giovane ragazzo afro-americano e da ultimo l’atto di terrorismo che ha causato la morte di 145 persone di cui la maggioranza bambini di una scuola in Pakistan.



Questi fatti e molti altri fatti drammatici nella vita degli uomini e donne che ogni giorno incontriamo nel lavoro che facciamo (situazioni di violenze fisiche  mentali abusi di alcol e droghe, depressioni, ansie e solitudini) si scontrano o meglio risvegliano il grido del nostro cuore che troppo spesso rimane atrofizzato e messo da parte quando tiriamo le somme dei bilanci di fine d’anno e guardiamo o tentiamo di immaginarci il proseguo del cammino. 



Nell’ultimo editoriale di Tracce on line americano mi ha colpito una domanda che l’editore faceva: “Cosa è la libertà, come possiamo costruire l’America insieme?”. Questa è una domanda che mi ha sempre affascinato e non mi ha mai lasciato tranquillo. Costruire qualcosa di nuovo, di utile e positivo per me e intorno a me. E’ possibile? Perché ne vale la pena? Perché buttarci dentro tempo, energie risorse se tante volte, come è successo molte volte in questi anni, ti scontri con politiche, ingiustizie, indifferenze che non non vogliono guardare, non sono interessate e talvolta ostacolano quella mossa del cuore che desidera e vuole il bene, il bene infinito di sé e dell’altro che trovi al proprio fianco? 



Ho incontrato tanti che si sono arresi ma anche che nell’incontrarci e vedendo il nostro lavoro, semplice ma puro o naive come alcuni lo definiscono, hanno avuto quel sussulto al cuore che riapre la partita e fa intuire un di più di bene per se e il mondo. 

Ma allora per quanto piccoli siamo, costruire è possibile e sperare non è un sogno. E’ la storia di Novia, giovane donna veterana. Una vita segnata dalla sofferenza e solitudine. La famiglia lontana. Dopo la carriera militare il nulla. La malattia, l’impossibilità di lavorare fino al ritrovarsi homeless (senza tetto). Io e Nancy la incontriamo in un centro di assistenza per veterani disabili e senza casa. Ci incontriamo un paio di volte e poi gli offriamo di lavorare con noi come Specialista Contrattuale. Accetta la proposta. Lavora con noi per un anno. Un anno intenso dove la malattia spesso emerge e sembra essere un impedimento al lavoro, tanto che spesso vorrebbe smettere.

L’accompagniamo con pazienza, aspettandola e stando con lei, senza grandi discorsi, ma insegnandole il lavoro, commossi davanti a lei perché prima di tutto lei è! Due mesi fa ci chiama. Ha deciso di spostarsi sulla East Coast per essere più vicina alla sua famiglia. Ci dice “farò lo stesso lavoro che ho imparato qui ma per un altra azienda”.

Una gioia per me e Nancy. Un anno fa era inimmaginabile per Novia non solo di lavorare ma di guardare a se stessa e la realtà. Ci troviamo per una piccola festa per lei con tutti i nostri dipendenti. Novia è timida con un sorriso bellissimo. Alla fine del pranzo, inaspettatamente, si alza in piedi e chiede l’attenzione di tutti. Silenzio. Il suo sguardo commosso, gli occhi lucidi e un filo di voce certo: “Nel cammino della mia vita ora c’è un ponte. Io posso attraversare questo ponte. Nancy e Guido sono le colonne che sostengono questo ponte su cui io posso camminare. Non riuscivo, ero bloccata. Ora posso camminare e arrivare all’altra sponda. Grazie!”. Questo per me è costruire. Questo risponde che è possibile costruire l’America insieme. Per questo sei anni di storia rendono carne e visibile (per quanto invisibile rimanga agli occhi dei potenti) quello che dice don Giussani nel suo libro All’origine della pretesa Cristiana: “Il miracolo più grande, da cui i discepoli erano colpiti tutti i giorni, non era quello delle gambe raddrizzate, della pelle mondata, della vista riacquistata. Il miracolo più grande era quello già accennato: era uno sguardo rivelatore dell’umano cui non ci si poteva sottrarre. Non c’e’ nulla che convinca l’uomo come uno sguardo che afferri e riconosca ciò che esso è, che scopra l’uomo a se stesso.” 

In questo sguardo io sono me stesso, sono libero e sempre più pieno di speranza. Perché costruire il bene non è né una illusione né prescrivere nuove dottrine sui comportamenti umani ma rimanere nello sguardo che  mi ha generato e genera ogni giorno. Il Suo sguardo.