San Severino Marche. Lei, Deborah Calamai, 38 anni, dopo aver ucciso il figlio tredicenne con nove coltellate, si mette su una panchina del giardino al freddo.

Questo ciò che mi ha riempito di pena in un fatto che la stampa comunica con particolari che sembrano offrire tutti gli elementi del caso: papà e mamma separati, il figlio in affido congiunto, lei in cura dai servizi psichiatrici ma senza problemi genitoriali, lui che stava per ottenere il figlio solo per sé.



A un primo sguardo, sembra che la paura di rimanere sola, lo smacco di vedersi privata del figlio abbiano armato la mano di una donna a colpire nel ragazzo l’altro uomo della sua vita, il marito che glielo stava portando via. Sembra, a chi come tutti, qualcosa sa dei meandri della nostra mente, ma anche è consapevole che atti come questo hanno in sé una buona parte di inspiegabilità.



Lei si siede sulla panchina al freddo.

Attorno le si muove tutta la consueta macchina dei fatti di sangue: la polizia, l’ambulanza, gli accertamenti, il ben noto nastro di plastica bianco e rosso che delimita il luogo, la pietosa ricomposizione dei resti del ragazzo, le interviste ai vicini, soprattutto l’arrivo — troppo tardi — del marito.

Lei è sulla panchina al freddo.

Povera donna.

Adesso è veramente sola e misera, senza affetti, senza casa. Avrà un avvocato, medici e cure. Gli interrogatori e il processo. Il carcere psichiatrico forse. O la cella, come tutte le altre.

Ma questo sarà dopo. Il presente è lei, seduta al freddo sulla panchina.



Quali i pensieri, i moti dell’animo non si vorrebbe neppure immaginare: sollievo, vendetta, rimorso, angoscia, pentimento. Lei trema e si vorrebbe solo coprire di pietà quel corpo e quell’anima che la malattia mentale ha intaccato.

La pietà, beninteso, non nasce solo dalla condizione di madre separata e dai disturbi psichiatrici che possono aver offuscato la mente e dato forza alla mano. Qui non è follia: la coscienza dell’atto sembra esserci stata e anche i segnali che hanno preceduto l’omicidio, se dobbiamo credere alla richiesta di aiuto inviata dal ragazzo al padre. Molto chiare qui le cose, più che altrove in delitti simili, ma dai contorni più oscuri. 

La pietà nasce perché questa giovane donna ammalata è un po’ l’immagine di una umanità bisognosa di sostegno, di cura, di affetto che colmi l’abisso della solitudine e del male. Anche la nostra di umanità, benché non macchiata di sangue così.

Tristezza di un episodio avvenuto a Natale, sotto il bel cielo delle Marche, in una casa che custodiva i resti di una famiglia un tempo serena. Lei ora è sola. Solo il marito. Il ragazzo giocherà alle costruzioni in compagnia dei santi. Ma qui sulla terra fa un po’ più freddo.

La aiuti Maria, signora, “per lo cui caldo, ne l’etterna pace, così è germinato questo fiore”, la riscaldi l’amore di quella Madre, sua e di tutti, perché le nostre parole non ci riescono.