Non è difficile comprendere come mai ci siano tanti e dolorosi disaccordi tra il mondo occidentale e quello arabo se anche tra di noi fatichiamo a capirci. Non sempre l’appartenenza allo stesso emisfero o alla stessa religione, a un identico partito o addirittura alla medesima comunità è garanzia di comprensione. Non si tratta di un problema linguistico, naturalmente, quanto piuttosto di una difficoltà nell’accettare differenze culturali. Questo diventa più evidente in un momento in cui le notizie viaggiano sulla fibra e non hanno bisogno di essere stampate per essere lette, o riprese per essere guardate in televisione.
Ha fatto il giro del mondo in pochi minuti la notizia (e le polemiche) che Apple e Facebook hanno incluso nel pacchetto dei benefici il finanziamento del congelamento di ovuli per quelle donne che vogliono concentrarsi sulla carriera senza essere disturbate dal ticchettio dell’orologio biologico. Da questa parte dell’oceano è una cosa “incomprensibile” voler manipolare la riproduzione. Senza dare però l’ennesima interpretazione moralistica, perché è banale affermare che sarebbe meglio se le donne si riproducessero “naturalmente”, consideriamo che la tecnica di congelamento degli ovuli viene utilizzata da almeno una decina di anni a beneficio soprattutto delle donne che, a causa di un cancro e della conseguente chemioterapia, vogliono salvaguardare la propria fertilità.
La procedura adesso è disponibile anche per le donne che non sono malate. Perché scandalizzarsi e criticare chi vi accede per posticipare il momento della procreazione? Bisognerebbe allora prendersela anche con i metodi anticoncezionali (anche quelli naturali) che, in modo più semplice, concedono alla donna il libero arbitrio su quando decidere di avere un bambino.
Il congelamento degli ovuli è un falso problema. Da una parte è una procedura fisicamente sfibrante a causa del bombardamento ormonale a cui bisogna sottoporsi, e per avere un certo margine di successo si deve essere giovani per “raccogliere” gli ovuli, almeno al di sotto dei 35 anni. Al di sopra di quest’età la probabilità di avere una gravidanza è del 6-8%, al di sotto del 10-12%.
Le critiche si sono concentrate sulle aziende viste come vampiri sfruttatori che, pur di tener le lavoratrici attaccate alla sedia, fanno di tutto.
Questo punto di vista non tiene conto del fatto che le donne possono scegliere di farlo oppure no, e che dall’altra parte tante comunque desiderano avere una carriera. Questo si scontra con la diversità biologica (rispetto all’uomo che può riprodursi quando vuole) che pone dei limiti in una fascia di età in cui si possono finalmente raccogliere i frutti di anni di gavetta. Il congelamento in realtà appare come una toppa e solleva una questione più profonda che non conosce confini e (sembra) soluzioni. Quella relativa alla condizione della donna eternamente imprigionata tra due fuochi: essere qualcuno e fare la differenza sul lavoro senza tralasciare l’aspirazione ad avere una famiglia.
E’ un dato di fatto, molte temono di essere demansionate una volta salite sul treno della maternità (come spesso succede), di essere meno competitive rispetto agli spensierati uomini perché più affannate dalle responsabilità familiari. Il problema è proprio questo: fin quando la carriera professionale delle donne sarà tarata su tempistiche e modalità maschili non ci sarà soluzione.
Apple ha ufficialmente dichiarato che il congelamento degli ovuli è un ulteriore benefit offerto, oltre ai tanti già esistenti, proprio per mettere in grado le donne in azienda di riuscire a fare bene entrambe le cose, avere una carriera e potersi prendere cura di casa e famiglia. Per inciso parliamo di un’azienda che assicura alle dipendenti pacchetti che noi possiamo solo sognare (assicurazione sanitaria e sulla vita, trattamenti e cura per l’infertilità, copertura della gravidanza, assistenza pediatrica, nutrizionista, borse di studio per i figli, supporto psicologico in caso di problemi familiari, servizio di navetta da e per il lavoro, hobby e vacanze pagati, asilo e palestra aziendale, sconto sui prodotti, master e aggiornamenti professionali, piano pensionistico, acquisto di azioni).
Certo da italiani si può guardare con sospetto al fatto che in azienda abbiano a cuore il benessere degli impiegati fino a pagar loro il lavasecco o il parrucchiere in ufficio, le vacanze o il consulente per la coppia, ma ognuno valuta a seconda delle proprie esperienze ed è così che l’incomprensione genera l’equivoco nel giudicare dei benefici come un cappio al collo. Parliamo di uno stato in cui le aziende si possono permettere di sostenere la diversità di sesso, religione, orientamento sessuale, colore della pelle, origine ed età come valore aggiunto alle competenze puramente professionali. E, per assurdo, dove una donna single può rivolgersi a una banca del seme per l’inseminazione artificiale scegliendo il donatore da un catalogo.
Crediamo alla buona fede di Apple e Facebook ma proporre il congelamento è come prescrivere l’aspirina a un malato terminale. I numeri ci parlano di un notevole diradamento percentuale delle donne in posizioni apicali. Negli Stati Uniti solo il 20% di queste posizioni è occupato da donne. Il grido di allarme è stato lanciato (tra le tante) addirittura da chi occupa una di quelle posizioni: Sheryl Sandberg (Chief Operating Officer di Facebook) continua a fare conferenze sul fatto che le donne per prime si sottostimano e non negoziano per la loro posizione e per il salario. Negli Stati Uniti le donne sono pagate mediamente il 20% in meno degli uomini. La Sandberg ha fondato il circolo virtuale Lean In (leanin.org), uno strumento per le donne che hanno bisogno di spunti e ispirazione attraverso le testimonianze di chi ce l’ha fatta. Una sorta di punto di incontro per donne (anche gli uomini sono benvenuti) a ogni capo del mondo che si “incontrano” e condividono esperienze e fatiche, successi e delusioni, un ritrovo soprattutto di coscienze. E la coscienza è l’ambito nel quale le scelte personali che passano sul proprio corpo dovrebbero rimanere.