L’azienda internazionale di consulenza Bendixen & Amandi ha condotto un sondaggio tra i cattolici di dodici paesi diversi per conto dell’emittente americana di lingua spagnola Univision. I risultati sono stati diffusi a mezzo stampa dal Washington Post, da El Pais e da Repubblica, media partner della committenza. L’oggetto dell’indagine era il giudizio degli intervistati sulla morale cattolica e il gradimento di Papa Francesco. Il Papa ne esce fortissimo (con oltre l’80% di giudizi positivi) mentre la morale della Chiesa si ritrova sommersa dalla marea del dissenso (aborto, matrimoni gay, celibato dei sacerdoti, partecipazione ai sacramenti dei divorziati risposati appaiono come tabù che la famigerata “base” chiede al vertice di superare).
Si tratta sicuramente di uno strano sondaggio: strano per i media partner – giornali di matrice dichiaratamente progressista e storicamente avversi alla Chiesa di Roma -, strano per il criterio di analisi – le stesse domande fatte in paesi molto diversi per lingua, storia e tradizione -, strano per le domande poste – associare il gradimento del Pontefice alle valutazioni sulla morale significa infatti creare tra loro un legame simile a quello tra il leader di un governo e l’operato politico del proprio partito. Volendo tuttavia, molto benevolmente, soprassedere su queste stranezze restano sul tappeto almeno altre tre osservazioni che è utile condividere.
Anzitutto la considerazione, non nuova, della Chiesa come un soggetto politico mondano. Leggere ieri, sulle pagine del giornale fondato da Scalfari, i risultati del rilevamento faceva affiorare nella mia mente tutti gli anni in cui il giornale di Ezio Mauro ha tentato – molte volte con successo – di imporre la propria linea alla sinistra italiana: il Papa veniva surrettiziamente invitato a intraprendere una politica di reale rinnovamento dottrinale, con il neanche troppo velato avvertimento che la luna di miele tra Chiesa e stampa sarebbe continuata solo a condizione che la prima rispettasse le aspettative della seconda, cercando di riscuotere politicamente il supposto favore con cui i media progressisti dell’Occidente europeo hanno trattato il primo anno del pontificato di Francesco.
Nell’indebita azione di pressione veniva arruolato anche il famigerato questionario mandato in novembre dalla Santa Sede a tutte le diocesi italiane e che, come parroco, ho avuto occasione di affrontare e condividere con i miei collaboratori. A scanso di equivoci la Santa Sede non ha chiesto alla Chiesa “opinioni sulla dottrina”, ma ha semplicemente intrapreso un’operazione di ascolto autentico del vissuto di chi opera alle periferie: il Papa non ci ha chiesto cosa fare con i divorziati risposati o con i matrimoni omosessuali, ci ha semplicemente domandato cosa prevedono le leggi dei nostri paesi, come stanno e che cosa ci dicono coloro che vivono queste situazioni, come trattiamo le singole problematiche.
Il questionario, insomma, non era il conclamato referendum sulla famiglia di cui i giornali progressisti vanno cianciando, né l’impresentabile consultazione democratica denunciata da alcuni house organ del mondo conservatore, bensì la richiesta che qualunque padre di famiglia farebbe al proprio figlio nel caso in cui esso si trovasse ad affrontare problemi difficili o – comunque – molto complessi. Il Papa vuole conoscere e capire, ma – soprattutto – vuole portare tutto davanti a Cristo. Perché la Chiesa senza questo oggetto misterioso, “il Risorto”, non si capisce, si riduce, si manipola.
In effetti la seconda considerazione che volevo condividere riguarda proprio il modo con cui il mondo guarda alla morale della Chiesa. Fa impressione vedere contrapporsi due dialettiche mute e infeconde come quelle strettamente connesse al nominalismo o al modernismo. Infatti, da un lato la morale viene presentata come l’esito ineluttabile dei comandamenti del Signore per cui essa, in ultima analisi, sarebbe inemendabile proprio a causa dell’autorità divina che la supporta, dall’altro le prescrizioni dottrinali sono presentate come il frutto di un disegno di potere che la Chiesa tenterebbe di attuare sulla società fin dai tempi del Concilio di Trento, senza aver paura – per raggiungere i propri perversi scopi – nemmeno di praticare un’effettiva ingerenza spirituale sulle libere coscienze dei cittadini occidentali.
Entrambe queste visioni sono ovviamente stantie e limitate: la morale della Chiesa sorge dall’umanità ridestata in ogni uomo che effettivamente incontra Cristo. Certamente alcune parole provengono da Dio, altre sono frutto del tempo, ma il cuore della morale cattolica sgorga in ogni Io che diventa amico di Dio, al punto che molti convertiti non debbono neppure essere catechizzati sui principi della Tradizione, ma arrivano da se stessi a fare scelte – anche e soprattutto affettive – che la morale della Chiesa da secoli indica come “buone” per la felicità e il bene di ogni persona impegnata a vivere con piena umanità il proprio cammino nel tempo. Proprio per questo ciò che mi preoccupa davvero – in questo sondaggio dell’Univision – è che il sentire di molti cattolici risponde realmente a diversi risultati della consultazione. Ciò mi fa pensare che sia il momento, per tutti, di provare a recuperare il fondamento della morale nella Chiesa, ossia l’esperienza cristiana. Quello che manca al nostro popolo oggi è una coscienza genetica del cristianesimo, una coscienza inerente l’origine delle indicazioni morali, un’origine che non si trova nella cultura del tempo, e neppure nella cieca volontà di Dio, ma nel rapporto che ogni uomo incomincia ad avere con la realtà dopo aver incontrato il volto di Cristo.
Quando abbiamo fatto fuori la realtà e l’esperienza contemporanea dell’amicizia con Dio, lì abbiamo ucciso tutta la nostra tradizione occidentale. Lì, in quel preciso punto, abbiamo cominciato a smettere di essere cristiani per diventare, molto più banalmente, campioni d’indagine utili a una qualunque lobby in cerca soltanto di manipolare il mondo.