Lei, l’altro, la bulla. Magari l’altro non c’è nemmeno, e la bulla semplicemente insulta e picchia così, per sentirsi forte. S’infittisce di rivelazioni e dichiarazioni il triste episodio ripreso dai telefonini e postato su Facebook, dove in breve tempo è diventato virale, scatenando commenti indignati in rete e altrettanti pensosi su stampa e tv, di sociologi, psicologi, pedagogisti. Ieri è arrivato anche l’audio della ragazza picchiata, fuori da scuola, assistita dalla zia. Smentisce che il litigio tra le due adolescenti sia scoppiato per un ragazzo, informa che a ricevere calci e pugni c’è in ballo anche un’altra ragazza, che voleva difendere la compagna offesa, dichiara sommessamente che non tornerà più a scuola, troppa paura: riceve continuamente minacce, addirittura di morte, e non si comprende da chi. Perché la bulla, a sua volta, viene duramente ripresa ma anche difesa dalla madre: anche lei riceve improperi continui, in rete, al telefono, anche lei è minacciata e da ben prima che il “pestaggio” diventasse il simbolo di una generazione devastata.



Ha quindici anni, la bulla di Bollate, se ha reagito così non è per follia. Ha la testa calda, ma era esasperata, le registrazioni confermeranno agli inquirenti che la rissa è esplosa dopo ripetute provocazioni. Per cosa? Che non ci sia in ballo l’amore, parola grossa, meglio dire l’infatuazione, per un coetaneo, rende la vicenda ancora più assurda, ma almeno la libera dal tenerume alla Moccia, dal più piccolo alibi delle passioni. Forse si capirà, il motivo scatenante, l’odio tra queste due ragazzone, esteso forse al branco, com’è probabile, che spiegherebbe in parte l’indifferenza, la complicità beffarda di chi ha assistito senza muovere un dito per separare, interrompere quell’incalzare di pugni e calci ad una compagna inerme, che piangeva e chiedeva aiuto. A pochi metri dalla scuola.



Inutile che la preside dell’istituto si affretti a difendere la sua onorabilità, la bulla non era di questa scuola, eccetera. Che importa. Dovrebbe chiedersi perché tra i suoi allievi, usi a stazionare fuori da cancelli in gruppetti, non sia scattata una reazione normale, dividere le contendenti, tenerle buone, isolare la violenta, magari chiamare un adulto. Che mai impareranno nella sua scuola, come li conoscono poco i loro insegnanti, da permettere che crescano giovani così, cinici e strafottenti, egoisti e ottusi, convinti di desiderosi di vivere su Scherzi a parte o le Iene. Chissà quanti percorsi e progetti di educazione alla legalità, quanti bla bla di educazione civica hanno seguito, per forza. Inutili ore sottratte alla matematica e alle poesie imparate a memoria.



La madre della bulla trova la forza di implorare pietà. E’ un donna sola, in una situazione difficile, ma rivendica con orgoglio i buoni principi che hanno mosso l’educazione dei suoi figli, perchè ne ha due, e l’altro non le crea problemi, per fortuna. Ripete che sua figlia ha quindici anni, e chiede di riflettere, prima di giudicare. Serve a cambiare la testa di una ragazzina sciocca e isterica, il massacro mediatico? Serve costringere quel pezzo di famiglia a nascondersi, a vergognarsi, a cambiare quartiere, o città? Non basterebbe una bella lavata di capo, magari da un magistrato, dai suoi insegnanti, con la faccia dura e severa, l’obbligo a passare un pomeriggio ogni tanto ad aiutare qualcuno, foss’anche a pulire i bagni della scuola, e a chiedere scusa alla ragazza offesa?

Non si capacita, quella madre, che tanti ragazzi non abbiano trovato di meglio che filmare col telefonino il fattaccio, e diffonderlo. Tra le risate e gli incitamenti sarcastici. Sua figlia ha sbagliato, deve pagare nelle sedi opportune, ma quelle immagini sbattute in faccia al mondo… E’ quello che non capiamo anche noi. La farsa della presunta libertà della rete. Così libera da impiccarti a un errore, anche se grosso. Così libera da inventarti una personalità, un carattere, di attribuirti parole e pensieri: ci siamo indignati due volte, leggendo i post offensivi e cattivi di questa ragazzina, che rivendicava caparbia le botte sferrate, promettendone altre. Non era lei, dice la mamma, il suo profilo Facebook era stato chiuso dai carabinieri dal primo giorno, quelli che girano adesso sono tutti falsi. Insieme ai fotomontaggi, veri, ai video con le bestemmie e le promesse di morte. E dire che nemmeno a un criminale è lecito comminare la gogna perpetua. Lo direbbe la legge, lo direbbe l’umanità. La pietà è dovuta anche a lui.