Molti i Santi e Beati che vengono celebrati il 14 febbraio, tra i quali un posto di assoluto rilievo non può che spettare a Sant’Antonino, vissuto nel IX secolo e patrono di Sorrento. Nato con ogni probabilità a Campagna d’Eboli, un centro dell’entroterra salernitano, Sant’Antonino decise molto presto di lasciare il luogo natio al fine di recarsi a Cassino. Proprio a Cassino divenne quindi monaco benedettino, in un momento storico in cui il nostro paese era interessato da una serie di invasioni barbariche che lasciavano di volta in volta devastazioni a non finire. Le distruzioni operate dalle orde barbariche che transitavano nella penisola, riguardarono del resto anche il monastero di Montecassino, il quale venne saccheggiato dai longobardi, costringendo i monaci alla fuga verso Roma, in modo da trovare riparo e protezione presso il Papa Pelagio II. Tra i monaci in questione non c’era però Sant’Antonino, il quale decise invece di vagare nel territorio campano sino ad arrivare a Stabia, il nome che nell’antichità designava l’attuale Castellammare. Nella sua nuova destinazione, entrò in contatto con San Catello, vescovo del fiorente centro, con il quale ben presto strinse un sodalizio diventandone amico. Quando lo stesso San Catello decise di dedicarsi senza ulteriore indugio alla vita contemplativa che sognava da lungo tempo, ritirandosi di conseguenza sul Monte Aureo, proprio Sant’Antonino si vide affidare la diocesi di Stabia. Anche Antonino, però, ben presto cadde vittima a sua volta dei richiami alla vita contemplativa, tanto da spingersi a chiedere ripetutamente a Catello di tornare a svolgere le sue funzioni. Non ricevendo risposta, si rifugiò anche lui sul Monte Aureo, andando a vivere in un anfratto naturale, nutrendosi di erbe. Un regime di vita molto duro, che lo accomunò proprio a Catello, dal quale fu raggiunto più di una volta. Proprio mentre i due religiosi si trovavano insieme, sarebbe quindi apparso loro l’arcangelo Michele, chiedendo che venisse costruita in quel luogo, dal quale si poteva dominare con lo sguardo il golfo di Napoli e il Vesuvio, una chiesa. La struttura venne effettivamente edificata, usando nella sua costruzione materiali come legno e pietra, in quel punto del Monte Faito oggi noto come Punta San Michele o Monte Sant’Angelo.



Ben presto la chiesa divenne punto di ritrovo dei tanti contadini e pastori che gravitavano nell’area, ma poi San Catello fu accusato di stregoneria da un prete stabiese, Tibeio, tanto da essere richiamato a Roma dal Papa. Quando il nuovo pontefice vide apparire in sogno Sant’Antonino, il quale gli intimava di rilasciare l’amico ormai ridotto in stato di prigionia, Catello riuscì finalmente a tornare in Campania, dedicandosi con grande energia al consolidamento della chiesa, nel frattempo diventata meta di incessante pellegrinaggio. Nel gran numero di pellegrini, spiccavano quelli provenienti da Sorrento, i quali chiesero ad Antonino, la cui fama si era notevolmente consolidata ed allargata, di stabilirsi nella loro città. Accolto dall’abate Bonifacio a Sant’Agrippino, monastero benedettino situato ove oggi sorge la basilica, alla morte dello stesso assunse l’incarico di vescovo.



Tra i prodigi di cui è accreditato Sant’Antonino, va ricordato quello tramandato poi oralmente, in base al quale avrebbe salvato un bimbo che era stato inghiottito da una balena mentre giocava sulla spiaggia cittadina. Richiesta di un intervento da parte della madre del piccolo, il santo si sarebbe infatti recato sulla spiaggia chiedendo ai pescatori di trovare la balena e condurla al suo cospetto. Quando ciò avvenne, il ventre della stessa fu quindi aperto, permettendo al bambino di uscirne vivo. Nel periodo che fece seguito al suo decesso, i cittadini di Sorrento decisero di erigere una basilica dotata di una cripta interna, proprio sul bastione che sormontava la cinta delle mura. A chiederlo era stato lo stesso Sant’Antonino, il quale aveva espresso il suo desiderio di non essere tumulato fuori o dentro le mura cittadine, ma all’interno delle stesse. Il culto della città campana per il suo patrono è testimoniato dai dipinti che caratterizzano la basilica e nei quali lo stesso viene ritratto in alcuni dei prodigi a lui ascritti, tra i quali la liberazione dal colera e dalla peste.

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