Amo da morire il presepe napoletano, perché racconta con straordinaria maestria come Gesù sia venuto al mondo spuntando silenzioso in mezzo all’ordinarietà della vita quotidiana, tra caciocavalli e pecore, massaie e pastori, vino e bancarelle, pifferai e bambini, sanpietrini e fango. Il San Valentino allestito in piazza San Pietro da monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mi ha ricordato proprio questa dinamica: Papa Francesco, con il suo messaggio di speranza, ha scelto di impastarsi con l’eccezionale ordinarietà di storie di innamoramento senza colpi di teatro, fatte di baci e carezze, canzoni di Jovanotti e anelli dati a sorpresa, sguardi implorati e cuori che di punto in bianco iniziano a battere più forte del solito.
Nasce così l’amore, è sempre iniziato da una scintilla: come per incanto, spuntano quegli occhi neri tra milioni di occhi neri, e diventano unici e ricercati e attesi e sperati. Il giorno di San Valentino, Francesco ha voluto fare fino in fondo il Papa: si è lasciato incantare da tanta bellezza ma ha anche colto l’occasione per indicare a tutti la luna, e non solo il dito. Quella luna senza la quale il cuore che batte più forte lentamente torna alla normalità (“I sentimenti vanno e vengono” ha detto da esperto d’umanità qual è), e la ricchezza del “per sempre” rimane un ricordo sbiadito di una accessoriata giornata di festa.
Francesco, come ha già raccontato Cristiana Caricato sul Sussidiario, ha voluto indicare la strada per rendere fuoco eterno una scintilla affascinante, rimarcando che il “per sempre” non è solo “una questione di durata! Un matrimonio non è riuscito solo se dura, ma è importante la sua qualità”. Come in un presepe napoletano, Cristo spunta tra le storie normali per renderle solidamente eccezionali e durature.
Anche io ho avuto la grazia di essere in piazza San Pietro, tra i 30 mila presenti: ero con centinaia di coppie di fidanzati della diocesi di Chieti-Vasto, alcune delle quali, insieme a mia moglie, le stiamo accompagnando nel percorso di preparazione al matrimonio su invito del nostro amico don Sabatino Fioriti, nella certezza che senza un sostegno, un’amicizia, una compagnia, tutto diventa difficile, e la paura del “per sempre” prende il sopravvento. Senza tutto questo, si scambia l’innamoramento con l’amore. Certo, l’impatto di una piazza illuminata da un sole limpido come non mai è stato notevole: le canzoni d’amore che tutti conoscono e cantano (“A te” di Jovanotti o “Vorrei incontrarti fra cent’anni” di Ron e Tosca o ancora “Quanto t’ho amato e t’amo” di Roberto Benigni), le gag, le testimonianze di amori che nascono come tutti gli amori, fino alle parole risolutive di Papa Francesco, hanno colto sicuramente nel segno.
Ma è stato il “dopo” che si è tinto di una forte luce di speranza. Ed erano gli occhi di quei fidanzati, sul pullman lungo la strada del ritorno: i loro abbracci, le loro tenerezze, e i loro sguardi, hanno preso il posto degli sbadigli della mattina, diretta conseguenza della levataccia. Gli occhi di Mauro e Natalia, che si sposeranno il 10 maggio, non lasciavano spazio ad equivoci: erano confortati. La loro testimonianza ad inizio corso mi aveva particolarmente colpito: avevano detto che, in mezzo alle mille precarietà della vita – lavori in città diverse, contratti a tempo indeterminato, collocazioni provvisorie – era giunto il momento di mettere un punto fermo. “Oggi – dicono tenendosi per mano – ci siamo sentiti sostenuti proprio in questo. Ci accorgiamo che abbiamo bisogno di avere punti di riferimento: il Papa è uno di questi, così come chi ci accompagna nella preparazione. Il “per sempre” acquista una dimensione più compiuta, e la nostra scelta, nonostante le difficoltà, è ora ancora più bella”. Non mentivano neppure gli occhi di Giuseppe e Laura, provenienti da storie personali molto diverse, ma che a Pasqua dell’anno prossimo riceveranno il sacramento del Battesimo e ad agosto diventeranno moglie e marito: “Papa Francesco – hanno detto – ha saputo dirci quello che già stiamo vivendo nel corso di preparazione, e che ci sta aiutando a fare con la necessaria coscienza questo passo. Vogliamo costruire la nostra casa perché davvero possa durare per sempre”. A loro, ho fatto notare che il regale del Papa – il cuscinetto portafedi – non è casuale: quei due anelli saranno il segno del loro amore, costruito giorno per giorno, e destinato a durare: “È quello che vogliamo” dicono insieme, guardandosi con tenerezza.
Dopo un passaggio al santuario del Divino Amore a Roma per pranzare e visitare la tomba di Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, i primi sposi dell’era moderna ad essere beatificati, il finale di giornata è stato quasi una conclusione “plastica” di una giornata di svolta: un aperitivo di San Valentino nel salone parrocchiale, con tanto di piantine, cioccolatini, e letizia. Il corso di preparazione ora prosegue ancora più bello, e con una certezza maggiore: è più conveniente camminare nella grande compagnia della Chiesa, per gustare il Vino buono che ha reso le nozze di Cana una festa indimenticabile, senza il quale, per dirla con Francesco, non c’è allegria: “Immaginate di finire la festa bevendo tè!”.
(Piergiorgio Greco)