“Se può consolarti, San Valentino è morto decapitato”. Il messaggino è arrivato a prima mattina sul mio telefono da una amica che conosce bene le mie idiosincrasie. E non è solo frutto della mia singletudine, è che il 14 febbraio è vissuto da metà della popolazione mondiale (generalmente quella non accompagnata) con lo stesso fastidio rancoroso disegnato magistralmente da Charles Schulz nelle suo strisce: siamo tutti Charlie Brown o Snoopy a secondo della condizione del momento. Anche se per me la data rossa, che sprizza cuoricini, è da sempre la festa della mia mamma, che del santo ha preso la versione femminile del nome, ho sempre mal sopportato la commistione di ipocrisia, stagnola al cioccolato e tavolini con candele. 



Che ci sia solo un giorno per gli innamorati è follia. Se uno ama, ama sempre. Per questo ero un po’ scettica sull’iniziativa del Pontificio Consiglio per la Famiglia che aveva deciso di portare in piazza San Pietro un numero spropositato di giovani coppie, voglio sperare innamorate, pronte a fare il grande passo. Mi era sembrato un cedimento, una resa al sentimentalismo tutto artefatto, ai cupidi pronti a scoccare il dardo, ai cantori dell’amore con colonna sonora. O peggio, voler “cristianizzare” una ricorrenza che, a parte il Santo martire, è completamente iscrivibile nella pagana modernità. 



Mi ero detta che forse aveva giocato un ruolo la provenienza del presidente del Pontificio Consiglio, Mons. Paglia, per qualche anno vescovo di Terni, città di cui san Valentino è patrono. Una botta di nostalgia per le giornate di metà febbraio che da pastore aveva sempre celebrato con i promessi sposi. E invece la componente autobiografica non è rilevante. O almeno non del tutto. La trasposizione di un’esperienza diocesana nel cuore della cattolicità ha una ragione precisa: la presenza di Francesco. 

Il Papa che conosce i palpiti del cuore, il brivido di condurre l’amata in un tango, i versi e le parole della passione, il desiderio e l’attesa. Insomma un Papa che conosce l’amore. Chi meglio di lui poteva spiegare a 20mila giovani fidanzati cosa significa vivere un destino di felicità comune. La cornice, devo dire, era sontuosa. Musica, danze e mani intrecciate, a cui ha contribuito una regia televisiva (sì, l’evento era anche in tv) che ha indugiato su sguardi carichi di complicità, baci fuggevoli e casti, abbracci e note tenere. E poi la scelta di arie, come quella popolarissima di Piovani interpretata da Benigni, che hanno fatto da sottofondo a milioni di storie. Stiamo parlando di versi che prima di sfociare nel dolcissimo “quanto t’ho amato e quanto t’amo non lo sai” offrono metafore del genere “la stella polare sei Tu” e “le nuvole fanno un ricamo, mi piove sulla testa un temporale”. 



Non proprio temi indimenticabili. Eppure il tutto aveva un certo fascino che deve aver anche catturato Bergoglio, concentrato, attentissimo, rapito quasi dalle testimonianze in lingue diverse e dagli interpreti musicali. Non so che è successo ma quando ha iniziato a parlare, rispondendo alle domande di tre coppie, la polvere leziosa e stucchevole che la ricorrenza aveva fatto cadere sull’evento è stata spazzata via. Prima di tutto quando ha svelato il trucco delle questio preparate e inviate in anticipo in modo da farlo trovare “preparato”. Come se ce ne fosse bisogno. 

Su quanto poi detto, voglio solo invitare tutti, fidanzati, sposati, ammogliati, divorziati, scompaginati, celibi e nubili, zitelle e consacrati a trovare il modo di leggere le risposte di papa Francesco. Darò giusto qualche assaggio, per far venire l’acquolina. Amarsi per sempre? Chiedono due terrorizzati fidanzatini in spagnolo. E Bergoglio risponde: oggi tutti dicono “stiamo insieme finché dura l’amore, e poi? Tanti saluti e ci vediamo” (magnifica sintesi delle relazioni sentimentali ai tempi di Facebook e Smartphone) ma l’amore è relazione, una realtà che cresce, in cerca di stabilità. E ancora: il per sempre non è solo una questione di durata, ma anche di qualità. E per farlo durare, questo amore, bisogna pregare insieme. Lui per lei e lei per lui. Chiedere insomma a Gesù di moltiplicare l’amore come ha fatto con i pani e i pesci. E poi il colpo di genio o di Grazia. “Dacci oggi il nostro amore quotidiano” la versione matrimoniale del Padre nostro, coniata da Francesco ad uso e consumo di coppie scoppiate. Insomma insegnaci ad amarci, a volerci più bene. Bellissimo riferire quanto di più umano possono sperimentare l’uomo e la donna nella loro fisicità al Divino che si fa pane e consuetudine. 

Ad altri due giovani promessi il papa ha svelato la regola del matrimonio: “permesso”, “grazie”, “scusa”. Tre paroline per un amore che non si impone con durezza e aggressività, che deve sempre mantenere viva la percezione del dono e della gratuità, e che finalmente smentisce le baggianate alla Love Story che hanno segnato intere generazioni (mi riferisco alla frase da baci perugina “l’amore significa non dire mai mi dispiace”). E poi l’ultimo consiglio, già sentito, ma ripetuto con mimica efficace. Lanciatevi pure i piatti, ma finite la giornata in pace. Il segreto per un amore e un matrimonio che dura. A me è venuta voglia di sposarmi. Devo solo pregare san Valentino. 

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