Caro direttore,
pochi giorni fa, dalle colonne del Foglio, Giuliano Ferrara ha formulato una lettera-appello molto semplice, chiara e sintetica a Papa Francesco. La missiva prendeva spunto dalla dura presa di posizione nei confronti della Santa Sede di una commissione di esperti delle Nazioni Unite sul tema della tutela dell’infanzia e della pedofilia. Viste le evidenti parzialità della commissione, e le indebite ingerenze politiche e morali nel credo di una religione nonché nelle regole legittime di uno stato, l’Elefantino ha chiesto al Papa di sostenere i cristiani, e i loro simpatizzanti, in una controffensiva fatta di preghiere, di azioni pastorali e di idee. 



Il gesto appare semplicemente geniale: con poche righe Ferrara è riuscito a coagulare attorno a sé una congerie eterogenea di uomini, storie e sensibilità, fornendo una casa a quanti – anche e soprattutto tra i cattolici – paiono voler chiedere al Papa qualcosa di più di un appoggio, quasi una sorta di prova di fedeltà, mettendolo cordialmente e benevolmente con le spalle al muro.



Sono molti i miei amici che hanno firmato quell’appello. Io sinceramente no. E non perché sono migliore o più furbo, ma per il semplice motivo che in quella lettera vedo alcuni errori che non posso far finta di non considerare. Il primo errore lo vedo nella richiesta del direttore del Foglio: sostenere una controffensiva. La Chiesa, caro Ferrara, non è un esercito, non è un partito, non è un moloch: la Chiesa è un’unità di uomini sociologicamente identificabile per l’esperienza che fa di una forza che non proviene da lei. 

Le controffensive le fanno i governi, le armate, le lobbies, non i cristiani. Anche nel Getsemani Pietro tentò una controffensiva tagliando l’orecchio al soldato, ma il Signore non fu molto entusiasta del gesto e arrivò a rimettere il suo nemico nuovamente nelle condizioni fisiche migliori per nuocergli. La più grande controffensiva di questa terra è l’Eucaristia che giace indifesa, muta e spoglia in milioni di tabernacoli in tutto il mondo: Essa c’è e questo fa tremendamente paura ad ogni potere. Le controffensive richiamano alla mente non un tipo di presenza costruttiva e originale, ma una presenza tesa sempre a reagire all’attacco ricevuto, una presenza difensiva e non lieta, indignata e non sicura del fatto che niente potrà mai prevalere su Cristo e sulla Chiesa. 



Ma questo, penseranno molti, non significa semplicemente “calarsi le braghe”? 

A parte il fatto che non credo esista espressione più rozza e stupida di questa, la vera preoccupazione di un cristiano non risiede nelle vittorie politiche o culturali che consegue, ma nella certezza che possiede davanti a tutto e a tutti, una certezza che è tanto più autentica quanto più si esprime col silenzio e l’offerta di sé. 

Come Cristo di fronte a Pilato. Egli non si “calò le braghe”, ma semplicemente si pose. Tutto il resto prende sempre le sue mosse da altro: bisogni psicologici di affermazione di sé, desiderio di potere, eccessiva considerazione della propria persona e del proprio ruolo nella storia. Cristo e la Chiesa vengono così messi al servizio del proprio narcisismo e della propria ideologia. 

La mia prima preoccupazione non è la difesa della civiltà cristiana, ma che il cristianesimo viva in me. A me non interessa che Hollande faccia un passo indietro sulla famiglia, a me interessa che Hollande si faccia una famiglia e scopra, così, la grandezza del matrimonio. Altrimenti è tutta tattica e, prima o poi, “i nemici di un tempo torneranno vincitori”. 

L’appello di Ferrara ha dunque un sapore reattivo e sottilmente polemico: evoca Benedetto XVI e la sua lezione sulla ragione per mettere sotto assedio Francesco, in un’operazione surrettiziamente − ma pervicacemente − nostalgica. Prova ne è il fatto che l’Elefantino chieda al Papa cose che sono compito di ogni cristiano, quasi che − per fare legittime battaglie − alla fine ci fosse sempre bisogno dell’imprimatur gerarchico, quando, invece, il cristianesimo è rischio e libertà. Il Papa non può fare l’alfiere e il pedone, il cavallo e la torre: sono i laici a doversi mettere in gioco, certi che − come abbiamo visto su tutte le tematiche eticamente sensibili − la voce del Papa non si farà attendere. Voce di padre e non di generale, voce di pastore e non di partigiano. 

Un assaggio di tutto questo credo proprio che lo vedremo al prossimo Sinodo, dove assisteremo alla cocente e strisciante delusione di molti media. Perché un gesuita è un gesuita. E non ha certamente bisogno di essere messo alle strette da un appello. Siamo noi che dobbiamo decidere che cosa fare. Se essere ancora cortigiani di un’ideologia o provare, molto umilmente, a rischiare tutto e a rischiare davvero su di Lui, su Gesù Cristo. Potrebbe essere questa una gran bella cosa. La risposta più disarmante e inattesa della storia. Una risposta che porterebbe alla resa chiunque, perfino i caschi blu.

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