Piccoli papi crescono. Tutti abbiamo visto il bambino mascherato da pontefice aggirarsi traballante sui sanpietrini all’ombra dell’obelisco e ieri un altro emulo in miniatura è stato lanciato, urlante, tra le braccia del Papa legittimo, grande e grosso. Confesso che a prima botta la cosa mi ha un po’ inquietato, poi ripensando a mio nipote di 5 anni che ad ogni carnevale rifiuta le maschere ricevute in eredità dai suoi fratelli più grandi per inseguire i panni del suo eroe preferito, ho capito. I mini-papi sono un bel segno. 



Più delle copertine patinate e dei sondaggi con gli indici in ascesa testimoniano che Francesco piace. E soprattutto piace a chi ha il cuore semplice, i bambini. È il loro eroe. Non ha i superpoteri, ma cattura l’immaginazione. Qualcosa del genere: “anch’io da grande voglio essere simpatico e buono come lui e aiutare i poveri”. Almeno mio nipote dice così. Anche se ha scelto la maschera da vichingo (e ci credo, prevede spada ed elmo con le corna, non c’è storia). 



Sono sicura che una parte di questo revival è dovuto anche a Benedetto. Tanto bianco non s’era mai visto. La tonaca candida affascina. Sebbene sia diventata persino oggetto di discussione feroce, punto di inciampo per analisti e storici, capo per fantasiose ricostruzioni. Sappiamo cosa si è scritto e detto nelle scorse settimane: quando il malumore per certe scelte di Francesco ha iniziato a serpeggiare, dentro e fuori la Chiesa, c’è chi ha tentato la strada facile e già battuta della contrapposizione, gettando sul tavolo la carta del Papa Emerito. Se il Papa non mi soddisfa, non devo ricorrere ai veleni o alle congiure, come nelle corti pontificie rinascimentali, posso tirare fuori dal cassetto il Papa emerito ancora impolverato di naftalina.



Tutto questo, beninteso, senza che l’interessato abbia mai minimamente incoraggiato certe nostalgiche rivendicazioni. Anzi, il povero Benedetto si è visto strattonare la tonaca semplificata a sua insaputa, usata per gettare veleno e scompiglio. Il metodo è stato quello delle legittime interrogazioni su una situazione che oggettivamente, nella sua novità, porta a valutazioni inedite. Ha contribuito ad alzare il numero dei punti interrogativi la tentazione di onorare degnamente gli anniversari (l’11 febbraio) e la scena straordinaria dell’abbraccio nella Basilica Vaticana tra Ratzinger e Bergoglio durante il Consistoro. “Perché Benedetto si è dimesso? Cosa c’è dietro? (o sotto, sopra, accanto e davanti?) Cosa intendeva quanto parlava di rinuncia “all’esercizio attivo” del ministero petrino? Qual è lo status teologico del pontefice emerito? Perché si veste di bianco e si fa chiamare Santità?” E ancora, ci si è spinti fino a più paradossali quesiti: “Abbiamo una Chiesa con due papi? Chi è il Papa tra i due? Diarchia?”. 

Ora, se le parole molto chiare di Benedetto al momento del suo gesto rivoluzionario, le poche apparizioni pubbliche incastonate in un isolamento totale, la perfetta comunione mostrata con il suo successore, oltre agli eventi degli ultimi 12 mesi non hanno convinto che al timone della barca c’è qualcuno che sa sempre quello che fa, insomma se, allora è giusto farsi delle domande. 

Però le domande si fanno a qualcuno e non al vento, quasi fossero fulmini minacciosi scagliati per provocar tempesta. E visto che abbiamo la fortuna di avere ancora vivo e vegeto, e a quanto mi risulta anche parlante e lucido, il soggetto ultimo di tanta ansiosa indagine, l’azione più corretta era cercare di aver da lui delle risposte. È quello che ha fatto Andrea Tornielli, vaticanista della Stampa, che invece di rimestare malmostose inquietudini ha scritto all’emerito una letterina, inviata via mail il 16 febbraio, con precisi interrogativi. 

È ciò che distingue un giornalista da un romanziere: porre domande a chi può spiegare, andare alla fonte invece di raccogliere acqua melmosa. Così, grazie a questa audace ed elementare azione investigativa sappiamo cosa pensa Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, Pontefice emerito della Santa Romana Cattolica Chiesa. “Non c’è il minimo dubbio circa la validità delle mia rinuncia al ministero petrino” e “le speculazioni” in proposito “sono semplicemente assurde”. Tradotto, per chi ancora non afferra il concetto, non c’è stata nessuna pressione, nessuna costrizione, nessun complotto, le dimissioni di Benedetto sono un atto libero compiuto in coscienza (che poi è in sintesi quanto più volte dichiarato dallo stesso nel periodo drammatico che va dall’11 al 28 febbraio 2014). Inoltre sappiamo che si veste di bianco per motivi pratici. “Nel momento della rinuncia non c’erano a disposizione altri vestiti”. E informa che porta l’abito candido in modo chiaramente differente da Francesco (senza pellegrina e senza fascia).

Infine Benedetto ha confermato quanto confidato per iscritto al teologo Hans Kung, vale a dire che è “grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco” e che oggi vede come suo unico e ultimo compito “sostenere il suo Pontificato nella preghiera”. In pratica ha difeso l’amico Kung dall’accusa, circolata, di essere un bugiardo. La missiva è arrivata il 18 febbraio, chiosata dalla speranza di aver risposto “in modo chiaro e sufficiente” alle domande poste. Posso dire con certezza che nulla è stato omesso di quanto scritto dal pontefice emerito a parte l’indirizzo di Tornielli (comprensibile privacy) e i numeri 1) 2) 3) con cui il vecchio professore ha articolato le sue risposte ad altrettanti interrogativi. Chiaro, limpido, definitivo. 

Eppure conosco i miei polli: le speculazioni continueranno. Certo ora diventerà più difficile arrischiare disegni apocalittici, ma c’è chi non desisterà. Turberanno ancora la quiete orante di Benedetto, insinueranno nuovi dubbi, provocheranno altre diatribe, immagineranno altri scenari foschi. Persino questo gesto semplice potrà essere equivocato. Ma la lezione rimane. Facciamo bene il nostro mestiere: le domande si pongono a chi può dare risposte. 

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