Il 5 febbraio, 36° giorno dell’anno secondo il Calendario Gregoriano, la Chiesa Cattolica celebra la memoria di Sant’Agata, vergine vissuta e martirizzata nel III secolo, patrona di Catania e co-patrona di Palermo e della Repubblica di San Marino. Secondo quanto tramandato dagli storici, Sant’Agata nacque a Catania intorno al 230, in seno ad una delle più facoltose e nobili famiglie della Sicilia. Le notizie riguardanti il luogo di nascita sono discordanti: la maggior parte degli storici asserisce che Agata nacque a Catania, ma esiste una corrente abbastanza forte che propende, invece, per un’origine palermitana. Una tesi in favore dell’origine palermitana di Sant’Agata è rappresentata dal fatto che costei sia tra i quattro protettori di Palermo; gli storici che propendono per l’origine catanese della santa invece si basano sui verbali del suo processo, in cui la martire sottolinea la sua condizione nobile e che la sua famiglia risiede nella città etnea da decenni. Estremamente colta, Agata poté studiare approfonditamente grazie alle condizioni agiate della sua famiglia. Incontrò la fede giovanissima e, intorno ai quindici anni, scelse di mantenere la sua verginità per sempre, consacrandosi all’Onnipotente. Nonostante i genitori si sforzassero di cercarle un marito per assicurarle un futuro e stringere alleanze con altre famiglie del patriziato siciliano, Agata rifiutava costantemente ogni pretendente, mandando in fumo ogni tentativo di combinare un matrimonio. L’agiografia sostiene che Agata si consacrò ufficialmente alla vita religiosa a quindici anni: come dimostrato in seguito, la data sarebbe invece da posticipare di qualche anno. I costumi cristiani di quell’epoca prevedevano infatti un’età minima di ventun’anni per poter essere consacrata diaconessa ed appare assai improbabile che per la giovane Agata si sia fatta un’eccezione. In alcuni documenti poi, appare che Agata possedeva alcuni beni immobili: per la legge romana dell’epoca, questo era impossibile per le donne di età inferiore ai ventun’anni. All’età di ventun’anni, Agata divenne diaconessa: a simboleggiare il suo nuovo status, il vescovo le impose il velo rosso. I compiti di Agata riguardavano la catechesi dei nuovi cristiani e la preparazione a battesimo e cresima dei fedeli.



In quegli anni, l’Impero Romano attraversava una profonda crisi economica, sociale e politica. I confini dell’Impero erano costantemente varcati da bande di barbari che compivano razzie; i vari comandanti locali dell’esercito si ribellavano al potere centrale per cercare di costruire piccoli stati autonomi. L’imperatore Decio, per cercare di ricompattare il corpus dei cittadini e di superare la crisi, iniziò a perseguitare i cristiani, con l’intento di confiscarne i beni e di finanziare le sue campagne militari a difesa di Roma. Agata entrò nelle mire del procuratore Quinziano, un uomo corrotto che governava a Catania per conto dell’imperatore. Quinziano sottopose Agata a un processo, per cercare di colpirne anche la famiglia e di mettere le mani sui suoi beni. Il primo processo contro Agata si concluse con una sentenza relativamente mite per la giovane, che venne affidata alle cure di Afrodisia, un’importante personalità della corte catanese. Afrodisia avrebbe dovuto rieducare Agata, tenendola in custodia per un mese. Afrodisia era però una sacerdotessa di Venere, dedita alla prostituzione sacra e assidua partecipante dei baccanali orgiastici che avevano un grande seguito a Catania.



Nonostante le minacce di Afrodisia, che la obbligava a partecipare regolarmente alle feste orgiastiche, Agata si mantenne pura e rimase illibata. Assistere alle orge sfrenate in onore di Dioniso suscitò una repulsione violenta di Agata per il sesso e per la carne. Quinziano, che aveva tentato di sedurre la giovane, vista l’inutilità delle cure di Afrodisia accusò Agata e la portò davanti al tribunale una seconda volta. Nonostante la strenua difesa di Agata e le sue capacità di argomentare, la giovane venne rinchiusa in carcere, dove venne torturata ripetutamente per portarla all’abiura. In carcere, Agata soffrì pene terribili. I suoi eni le vennero strappati con delle tenaglie. Vista la sua fermezza, Quinziano ordinò che Agata venisse arsa su un letto di carboni ardenti: mentre il corpo della giovane si ustionava, il velo rosso che portava rimaneva miracolosamente intatto. Dopo aver subito il supplizio ed essere stata rimessa in cella, Agata morì poche ore dopo: era il 5 febbraio del 251. Le sono attribuiti numerosi miracoli: salvò ripetutamente Catania da invasioni, carestie, pestilenze e da eruzioni vulcaniche. Sant’Agata viene rappresentata con i seni collocati su di un piatto e con il velo rosso sul capo.

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