Isso, issa e ‘o malamente. Solo che malamente sono due fratelli, e lui e lei sono padre e madre. Ci sarebbe anche la sorella, per ora nella parte di probabile vittima o complice silente. Parliamo della famiglia Cutrì, protagonista della cronaca nera di questi giorni. Mimmo, condannato all’ergastolo per omicidio, viene prelevato a mano armata dal furgone che lo trasporta in un altro carcere, e evade. L’autore del colpo, il fratello Nino, morto ammazzato durante un conflitto a fuoco.  



La signora Antonella non solo lo assolve, lo giustifica, ma ne traccia i caratteri dell’eroe, accorso a difendere il sangue del suo sangue con la vita. Perché i ragazzi si portavano poco più di un anno, erano come gemelli, spiega, e Nino era da tempo che ce l’aveva in testa, di organizzare qualcosa, in auto, perfino in elicottero, chissà quanti film aveva visto per studiare meglio il da farsi. Per questo tocca che il fuggiasco scappi, non si faccia prendere, per non rendere vano il sacrificio. Che poi, quella pena comminatagli, spiega il papà Mario, non era giusta per niente, l’ergastolo è quasi morire, e quel suo figlio testa matta non era un assassino. 



Io non discuto il verdetto della legge, che asserisce senza esitazioni che Mimmo è un personaggio più che pericoloso, mi auguro anzi che sia assicurato presto alla giustizia. Ma vorrei entrare nella testa di quel padre, di quella madre soprattutto, per provare a capire. Hanno suonato alla sua porta, lei è scesa, l’hanno fatta salire in macchina dove c’era quel suo figlio con gli occhi riversi, perdeva sangue. Neanche l’ho guardato, ha detto. Non ha chiesto nulla, perché lei non è abituata a fare domande. L’omertà, sempre. Il silenzio tombale, soprattutto nelle cose da uomini.

Che può fare quella donna, se non stare al ruolo che le è assegnato, dalla nascita, baluardo granitico a difesa di ciò che è suo, carne della sua carne. Non chiede, non più. Ora piange, senza un corpo su cui piangere, e impreca contro la polizia, cioè lo Stato, il potere, senza che neppure le passi per la testa che fossero i suoi figli a stare dalla parte sbagliata. Che non ci si vendica ordinando omicidi, se danno fastidio alla tua ragazza. Magari la sua figliola avesse un fidanzato così, dirà in cuor suo. Non ci pensa che quei carabinieri e poliziotti, per lo più gente del suo sud, abbiano scelto di faticare in divisa per guadagnarsi il pane, e per mostrare del suo popolo la parte migliore.



Questa donna, il marito, soffrono di un dolore straziante, che non può essere rubricato a recita, né sminuito. Sono personaggi da tragedia, un canovaccio aggrovigliato di passioni viscerali e ancestrali leggi del taglione, trama incomprensibile ai nostri occhi, impenetrabile.

Si dice l’educazione, la cultura. Non è vero. I Cutrì sono gente d’età, e peraltro non hanno pare alcun legame con mafia e compagnie affini. Nessuno della casa figura tra i boss. Ma leggete l’intervista alla figlia di Totò Rina, sull’ultimo numero di un noto settimanale. Quello che ha sciolto il corpo di un ragazzino nell’acido. Leggete come onora ed esalta il padre. Ascoltate gli adolescenti di certi quartieri, a Napoli, Palermo o Bari, ad esempio, e le ragazzine, quale il loro mito, chi vorrebbero come fidanzato. Il boss, il capo cosca. Eppure questi sono giovani, hanno studiato, almeno un pochino, sono passati per forza dalle istituzioni, per così dire. Dove abbiamo sbagliato, visto che non si tratta di una diversità antropologica? Da quanto tempo si è ripetutamente sbagliato, a vessare, a sfruttare, a non mostrare impegno e onestà, severità senza cedimenti? Ma soprattutto si può fare qualcosa, e cosa? 

Cambiare la testa di questa gente, di questa giovane gente è più importante che stringere accordi con gli emiri, e stilare una buona legge elettorale. Io comincerei con striscioni in ogni scuola, in ogni strada, per inneggiare alle forze dell’ordine, indicandoli come veri eroi, maestri di abnegazione e coraggio. Li farei parlare, invitati speciali, in ogni classe, vorrei le loro storie su ogni giornale, in ogni trasmissione tv. Farei sfilare l’esercito, che porti caramelle ai bambini, come si è fato a Kabul, insegnando a farsi amare. Parlerei da ogni cattedra, da ogni microfono, da ogni pulpito (soprattutto da ogni pulpito o altare) della vigliaccheria, della miseria, della crudele stupidità dei boss, segnandoli a dito, sguinzaglierei come inviati in missione maestri e sacerdoti ad aprire oratori e campi sportivi e doposcuola. Basta interviste, alle donne di mafia, e ai figli dei suoi capi. Il silenzio, rispettoso silenzio, anche per la famiglia Cutrì.