Domenica 9 febbraio è la quarta “Giornata nazionale sugli stati vegetativi”. Istituita dal governo su richiesta di coordinamenti di associazioni che sono impegnate su questa tematica quali: La Rete (Associazioni riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite), FNATC (Federazione Nazionale Associazioni Traumi Cranici) e Vi.Ve (Vita Vegetativa), si riprometteva di sensibilizzare la politica e l’opinione pubblica su una condizione di confine e di grande emergenza sociale. Al di là del lavoro singolo delle associazioni, all’impegno del ministero della Salute nell’istituire una tavolo di studio specifico (sul quale ci si aspetta una valutazione a breve), alla vigilia di un appuntamento che sarebbe importante per rivendicare diritti spesso violati il rischio che questa giornata passi sotto silenzio è molto forte.



Credo che vada diviso tra molti un diffuso senso di colpa. Intanto quello della politica che in maniera trasversale non riesce ad intercettare i temi della fragilità della persona, dell’emergenza delle famiglie nella convivenza con gravi patologie, del nuovo welfare, dell’essere più che l’apparire.

Solo pochi giorni fa un politico a queste mie riflessioni rispondeva: “Bisogna aspettare un nuovo caso Englaro”. Ecco è proprio qui il punto. Forse ancora non si è capito che ci sono realtà che esistono al di là delle emergenze, al di là delle ideologie, al di là degli steccati politici, al di là dell’esposizione massmediatica. E’ la vita della gente, quindi anche delle persone con disabilità, che chiede giustizia, condivisione, partecipazione. E’ una delle realtà che vanno rappresentate per quello che sono, per le difficoltà che vivono e per i bisogni espressi.



C’è poi un senso di colpa tra i mass media, che difficilmente parlano di questa condizione. La subiscono, non la conoscono, non la concepiscono, non ne capiscono la notizia se non per un risveglio clamoroso o per un episodio di malasanità. Si è dipendenti dalle storie, raccontate con gran dispendio di emozioni, ma devono essere generalmente espresse da persone che parlano bene, che si presentano meglio, per non urtare nessuna suscettibilità. Ed invece questo pudore, questo perbenismo dobbiamo urtarlo. Noi lo facciamo da tanti anni con Alessandro Bergonzoni, testimonial de Gli amici di Luca e della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, e siamo convinti che parlarne di più serve a comprendere meglio.



Perché parliamo di migliaia di persone che vivono spesso in solitudine, che non sono curate in maniera omogenea in tutta l’area geografica del paese, che spesso vengono considerate di serie B soltanto perché non si capisce la natura di quella vita differente, di quella relazione ricca e particolare con il proprio caro che ne diventa il caregiver di riferimento. Ed il senso di colpa diventa qui la colpa di chi ha quella condizione, e di chi la subisce e non è valorizzato per il lavoro che  svolge (il caregiver diventa questo, generalmente senza prepensionamenti né permessi lavorativi). Ed invece quella vita, quel contesto sociale di riferimento ha bisogno di servizi, di strutture per la cronicità, per il miglioramento ed il benessere e la qualità di quel nucleo familiare.

Ci vorrebbero maggiori fondi per la ricerca che dovrebbero essere stanziati senza ricatti o manifestazioni pubbliche ma solo per il senso di progettualità, equità e giustizia rispetto ad una necessità emergente.

L’appello è a tutta la classe politica: a Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Beppe Grillo e tutti gli altri. Siate rappresentativi di persone che non possono esprimersi, ma hanno bisogno che il loro silenzio sia interpretato e tradotto in azioni. Guardate che anche il silenzio può dar fastidio, essere assordante e diventare a volte insopportabile.