Sapete quanto pesa un bimbo appena nato. Dai due ai tre chili e mezzo, e ci sembra piccolissimo. Possiamo fargli il bagnetto nel lavandino, farlo dormire appoggiato a noi sul cuscino, tenerlo per i piedi, come un polletto. Entrare in un reparto di terapia intensiva neonatale è un tuffo al cuore: quei piccini attaccati alle macchine, quei corpicini in sala operatoria, e le mani, le mani magiche dei chirurghi che hanno dovuto tagliare, lavorare, trepidando ma fermi, suturare… un capogiro. Ecco, pensiamo cosa può significare operare su un esserino ancora più piccolo, e di molto: è la chirurgia prenatale.
Quando il bambino è ancora a navigare beato nel ventre caldo di sua madre, quando si sente protetto, al sicuro, e aspetta solo di crescere, per venire al mondo. Ci sono patologie, anche gravi, che si possono individuare, in bambini così. E c’è anche la possibilità di risolverle con un intervento in utero. A questo servono quelle benedette diagnosi che ogni donna può e in caso deve fare, a salvare la vita, non a interromperla, se non è come l’avevamo pensata e voluta. A mettere in moto l’ingegno, la perizia, il coraggio di medici disposti a tutto, per il bene più prezioso.
All’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è avvenuto un miracolo, che il papa buono avrà guardato con stupore ammirando la luna dall’alto, stavolta, lui che amava tanto i bambini. Un intervento in utero per salvare un bimbo affetto da una malformazione cardiaca gravissima: la metà sinistra del suo cuore non sarebbe potuta svilupparsi, non ce l’avrebbe fatta mai. Invece, e non è fatascienza, i chirurghi hanno punto il suo minuscolo torace, quello del feto, hanno trapassato il polmone, inserito una cannula un catetere con uno stent, da rilasciare proprio nel cuore, per permettere al sangue di scorrere, libero, e irrorare i polmoni, prepararli a respirare, quando sarà l’ora.
Un intervento unico, rischiosissimo, andato a buon fine. E’ persino crudo da dire a parole, i verbi e i nomi mettono un brivido: tagliare, forare, bisturi… Tocca ricordare che sono gli stessi termini, e gli stessi strumenti, che si possono impiegare per estirpare, lacerare un feto di eguale grandezza da quel calore, da quel liquido dolce. Tocca ricordare, per non essere sentimentalmente istintivi, in un caso, e ciechi o indifferenti, negli altri.
Mente quella mamma dormiva, con il suo bimbo, addormentato lui pure, cambiava la storia. Quella della malattia, quella di due vite, quella della scienza medica.
Saremo pure un paese sotto tutela, commissariato, con la disoccupazione alle stelle e la sfiducia, depressione nell’anima. Siamo anche un paese dove un’équipe intera di eccellenze rare la dà tutta, l’anima, per permettere il respiro e il futuro a un esserino di un etto, forse due. In Italia è così, siamo fissati con sta storia della vita da difendere prima della nascita. A tutti i costi. Lasciateci questo privilegio, da diffondere in giro, come un contagio.