La tragedia di Lecco di domenica 9 marzo in cui una madre, Edlira Dobrushi, ha ucciso a coltellate le tre figlie di tre, dieci e tredici anni aggiunge un nuovo grado di efferatezza alle cronache di violenze domestiche di questi mesi. Per un terribile accrescimento del grado di orrore sembra che, appena ci siamo abituati e purtroppo un po’ assuefatti alle cattive notizie di questo genere, la realtà della nostra povera storia contemporanea voglia escogitare un nuovo avvenimento che superi, in atrocità, quelli precedenti. 



La giornata della donna dell’8 marzo è appena trascorsa; in numerosissime occasioni, fin dentro le mura del Quirinale, sono stati ricordati i delitti recenti, reiterati e quantitativamente in crescita, contro le donne ma non solo, dentro e fuori le nostre case, e già gli ultimi avvenimenti aggiungono fatti di una violenza sempre più profonda e insensata, come appunto quella di Lecco. 



Siamo arrivati al punto in cui alla celebre domanda di Isaia, “si dimentica forse una donna del suo bimbo, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?” a cui fa eco in campo laico l’affermazione del grande romanziere francese Honoré de Balzac (“Il cuore di una madre è un abisso in fondo al quale si trova sempre un perdono”) occorre rispondere: sì, ci sono donne che non solo dimenticano i propri bambini, ma nel cui abisso del cuore si spalancano spazi oscuri di violenza e di morte per quello stesso bambino. 

La cosa strana è che di questo filone di delitti l’informazione stessa sembra interessarsi di meno, in confronto ad esempio agli episodi di femminicidio, neologismo oggi abusato, di cui siamo invece tempestati. Certo, nel commentare questi fatti occorre sempre usare estrema prudenza: qual è il ruolo della follia, ad esempio? Si tratta di depressione o di schizofrenia? Solo le indagini, appena iniziate, potranno appurarlo. Ma sbaglia comunque chi dice che cose del genere sono sempre accadute, che nulla di nuovo è sotto il sole: le stesse statistiche sciorinate per tutto l’8 marzo, e non solo, mostrano anche uno stravolgimento antropologico, un rovesciamento in atto nella società della stessa natura dell’uomo, in ciò che apparentemente sembra essere più puro e gratuito: l’amore materno.



Ma, ancora peggio, il fatto di Lecco è solo la tragedia evidente, il segno sanguinario di un’altra tragedia latente e segreta, che vivono quotidianamente tantissime madri, e padri, e figli. La domanda che, come sempre, risuona dopo questi eventi è la solita: per quale motivo? Anche i commenti sono abituali: era una famiglia normale, oppure, c’era qualche problema di relazione, o economico… ma il vero motivo va rintracciato forse a partire alla dichiarazione che la madre di Lecco ha balbettato in stato di choc ai medici che la curavano: “sono sola, non sapevo come fare”. E ancora: “Non volevo che le mie figlie avessero un futuro miserabile”. 

Se questa è la verità, siamo di fronte a una persona sola, che per di più riteneva se stessa l’unica in grado di dare un futuro alle proprie figlie. Non si tratta allora di una solitudine appena personale, o sociologica, o psicologica: e neppure una somma di tutte queste. La solitudine che ha spinto quella madre a quel gesto è vasta, onnicomprensiva, soffocante. Noi ci stupiamo che ciò possa accadere, ma poi tantissimi di noi hanno fatto un’esperienza non distante: di fronte a un problema, a una circostanza negativa della vita, si apre come un muro, o un vuoto, che sembra impedire ogni scappatoia. Da questa condizione hanno origine le migliaia di depressioni, e talvolta purtroppo i gesti estremi. È una condizione intorno a cui abbiamo costruito una società e un mondo intero. Abbiamo assunto una concezione della persona che vale in quanto capace di risolvere individualmente i problemi e farsi strada nella vita, e l’abbiamo lasciata nella sua segreta e terribile solitudine. La caratteristica che per secoli ci ha contraddistinto positivamente come popolo socievole in cui la famiglia e la comunità erano la forza e l’aiuto della persona, sta svanendo, assieme a quelle che erano le fondamenta di tutto, cioè le radici cristiane che erano intimamente connesse alla vita quotidiana. Ciò che rimane è una terra senza cielo, e quindi un individuo senza compagnia, con uno sguardo ai problemi e all’esistenza quotidiana senza un orizzonte più grande, intrappolato in un muro di solitudine asfissiante che porta migliaia di fratelli uomini come noi a un passo dal baratro di gesti violenti e insensati.