La notizia è che il Papa fa gli esercizi spirituali ad Ariccia con la Curia, sono un’ottantina tra preti, monsignori, vescovi e cardinali, hanno cominciato domenica sera e finiscono venerdì mattina.
Che notizia è? mi chiede un amico che non s’intende di cose di chiesa. È una non-notizia: il Papa e i preti pregano, che notizia è? Tu, gli dico, come te lo immagini? È facile da immaginare, mi dice: come ce lo immaginiamo tutti. Ci immaginiamo una cappella ricca e decorata, un inginocchiatoio – di raso bianco – a un posto: il posto del Papa. Poi, da un’altra parte, i sacerdoti che lo hanno accompagnato, e le conferenze del predicatore, e, alla fine, le foto, quelle ufficiali, di lui con il Papa e il segretario accanto.
Poi arrivano le foto del Papa. Il Papa in pullman. Il Papa seduto in quarta quinta fila, insieme, davanti e dietro, gli altri sacerdoti. Il Papa con il breviario in mano come il prete accanto. Lo guardi che prega seduto tra gli altri sacerdoti. Lo guardi in piedi col breviario in mano, il suo. E ti arriva. Questo Papa se lo leggi, capisci. Se lo vedi, capisci. Se lo ascolti, capisci. Se lo guardi, capisci. Questo Papa lo capisci sempre. Non è che semplicemente capisci quello che dice, che già sarebbe un gran dono per me e per tutti. Capisci lui. Insieme al messaggio di Papa Francesco ti arriva sempre anche Papa Francesco. Come fa lui. Come è lui. Capisci che quando ci dice di pregare, di vedere cosa c’è nel nostro cuore, è perché lui fa così. Capisci che l’umiltà di cui ci parla è essere sé stessi. Un sacerdote tra i suoi confratelli sacerdoti, colleghi e amici (anche un po’ nemici). Che prega guardando il tabernacolo. Che ascolta le meditazioni. Che il Papa è quello che è, un sacerdote pietra per la Chiesa. Armato delle mie armi, come ogni fedele: tabernacolo e fratellanza. La notizia è questa: che si veste di bianco perché è il Papa, ma se non fosse per la veste bianca, diresti che è un prete come gli altri, un uomo come tanti altri.
Ma poi ti accorgi di particolari che, nella normalità, lo fanno diverso. Quel sorriso piano e riposato come di chi conversa con pagine note, lette, rilette e molto amate. Come se fosse uno che parla con un vicino di casa che è un buon amico. Con quello sguardo piano e felice di chi sta vivendo un momento di riposo, di gioia intensa ma familiare e quodiana. Mi colpisce, dico al mio amico, la copertina del breviario: di plastica verde, trasparente, come il mio. Quello che uso spesso, che uso sempre.
Come le cose amate dai bambini, che ci giocano e le usano e ancora e ancora, e così si rovinano un po’. Non come noi grandi invece, che le mettiamo via per non rovinarle. Questo papa lo usa il suo breviario. Lo ama, lo tocca. Le pagine verdine, hanno punti un po’ scolorati come quando sulle pagine ci torni e ci ritorni. Come quando guardi la persona che ami e la riguardi e non ti stanchi mai perché ai tuoi occhi è sempre nuova. Mi sbaglierò, ma mi sembra d’intravvedere pure un post-it giallo tra le pagine. Sarà perché è quello che faccio io per tenere a mente un passo importante, un luogo caro. Me lo immagino pieno di note e sottolineature: ecco, quest’immaginazione sì che è buona, non come quella della cappella dell’inizio. Magari saranno note senza punti esclamativi perché, per me, a lui piace il rapporto franco, semplice, quotidiano, ma senza esasperazione. Come prendere un caffè. E poi mi ha colpito la posizione della mano che tiene il Vangelo. Se guardo quella del prete in primo piano, lui tiene il breviario come un libro, come faccio io. Il papa no. Lui se lo culla. La posizione della mano è quella delle mamme che tengono in braccio il bimbo appena nato. E così, quando uno prova un amore grande così, normale così, non ha bisogno di distinguersi. Sta con gli altri. E se non fosse per quella veste bianca sarebbe, questo papa-prete, un prete come tutti gli altri. Anzi no.
Un prete santo.