Penso che sia difficile dare un giudizio su fatti del genere. Il giudizio complessivo è che San Patrignano è un’esperienza buona e che tanti ragazzi, e tanti genitori, l’hanno riconosciuta come tale: sicuramente è un’esperienza che ha fatto e può ancora fare del bene a tanti ragazzi. Certo è anche un’esperienza un po’ particolare, direi singolare, all’interno del mondo delle comunità terapeutiche. Non bisogna però dimenticare che con questi ragazzi ci vuole una certa fermezza, una certa severità. Poi, sui metodi estremi di cui parla questa ragazza, non saprei. Attorno a quella comunità se ne sono sempre dette tante, anche se di serio non è mai stato appurato nulla. Quindi è anche giusto, oltre che serio, rimanere con un giudizio generale e complessivo: se san Patrignano va avanti da molti anni e ha accolto centinaia e centinaia di ragazzi, qualcosa di buono deve averlo pur fatto! Non dimentichiamo che il compito di chi accoglie queste persone è delicatissimo; alle volte si accolgono persone che, essendo nel bisogno e con i problemi che hanno, sono portate a dire cose che non sono vere, che magari vengono usate strumentalmente e opportunisticamente, non vorrei che qualche volta fossero in qualche modo costrette ad agire in quel modo. Come è successo a don Gelmini: le cose che erano circolate su di lui sono tutte finite in niente, in una bolla di sapone. Certo è che chi lavora con questi ragazzi che stanno male e che chiedono aiuto, deve fare di tutto per ottenere la massima collaborazione, la loro adesione. Purtroppo queste persone vivono momenti e situazioni drammaticissime, molto particolari, in cui come si diceva una volta non sono nel pieno della propria capacità di intendere e di volere. È un campo molto aperto, molto delicato.
Ma la vera grande questione è l’approccio educativo, un approccio relazionale vero tra persone che si rispettano, che si vogliono bene. Altrimenti quello che resta è un’estrema sanitarizzazione, un’estrema medicalizzazione del problema: diamo metadone a quintalate, metadone a tutti, così non rompono più e non danno più fastidio a nessuno.
Oppure una psichiatrizzazione, una cronicizzazione del problema. La questione invece è se è possibile che persone accolgano queste persone, in tutto e per tutto, e con esse siano disponibili a fare un cammino di rinascita, di riscoperta della vita, un cammino che lasci intravedere la possibilità di stare al mondo in maniera diversa. Perché si fa fatica a vedere quello che c’è dentro il dolore delle persone. In tutti i dibattiti su liberalizzazione sì liberalizzazione no, quello che manca è che non si vuol vedere bene quali sono i bisogni della persona, in questo caso particolare il bisogno dei giovani. Il dolore, la sofferenza è sempre un grido di vita. Il problema è vedere se ci sono persone disponibili a raccogliere questo grido e, partendo da quello, iniziare un lavoro di rinascita, di resurrezione, di insurrezione.