Il 20 marzo di ogni anno la Chiesa Cattolica celebra San Giovanni Nepomuceno, sacerdote e martire della Boemia. Giovanni è nato a Nepomuk, in Boemia, nel 1330 ed è morto a Praga, sempre in Boemia, nel 1383. Intraprese gli studi ecclesiastici a Praga, diventò sacerdote per opera dell’arcivescovo e si dedicò alla predicazione. Re Venceslao lo prese a corte come predicatore e dopo poco l’arcivescovo elesse Giovanni canonico della cattedrale e l’imperatore gli promise il ruolo di vescovo a Leitometitz. Il canonico, un po’ timoroso per gli onori e le responsabilità, persuase il re a revocare la sua proposta. Nel frattempo la moglie del re, Giovanna di Baviera, avendolo conosciuto, gli diede il ruolo di suo confessore. Ma il re Venceslao, che era corrotto, aveva il sospetto che sua moglie Giovanna lo tradisse e la assillava per sapere cose che invece erano solo sue fantasie. Allora si rivolse a Giovanni allo scopo di conoscere il contenuto delle confessioni di sua moglie, ma Giovanni si rifiutò con fermezza nonostante le minacce del re. In seguito a supplizi e torture, senza alcun risultato, il re lo condannò a morte gettandolo nel fiume Moldava. Infatti nel 1383 Giovanni fu gettato dal ponte cittadino tra sesto e settimo pilastro.



Il significato del nome Giovanni deriva dall’ebraico e significa dono del Signore. Il suo emblema è una palma, le cinque stelle e l’abito talare. Giovanni di Nepomuk è da sempre protettore dei fiumi e delle acque. Ma la sua storia ha i contorni sfocati tanto che all’inizio dello scorso secolo si dubitò della sua esistenza e molte statue furono abbattute oppure rimosse.  Nella tradizione antica, di cui dubitavano i protestanti, si parlava dell’eroismo di “Magister Jan”, un originario della città di Nepomuk nella Boemia, che, per non rivelare il segreto di una confessione venne gettato, come detto, nella Moldava, dove morì per annegamento. Il re artefice della condanna era vizioso e corrotto ed era stato ribattezzato come “re fannullone”. La povera regina, che trovava conforto nella fede ai ripetuti tradimenti del marito, trascorreva ore in preghiera e confessandosi da padre Giovanni, un ottimo predicatore e curatore di coscienze. Ma la mente malata del re, accecato dalla gelosia, gli aveva fatto immaginare che la moglie avesse una relazione con il prete stesso e anche con un amante che il prete copriva. Quando il re pensa di esserne certo lo svergogna durante un pranzo davanti ad ospiti. Giovanni gli intima di fare il suo dovere di sovrano ma soprattutto di cristiano. Allora il Re Venceslao giura di vendicarsi e un giorno, con le minacce, ordina a Giovanni di dirgli cosa sua moglie gli dicesse in confessione, sperando di sapere qualcosa sui presunti amanti. Ma Giovanni, con una volontà ferma ed eroica, convinto assolutamente dell’inviolabilità del sacramento della confessione e rifiuta nettamente. Il re Venceslao si vendica e lo fa gettare nel fiume di notte il 20 marzo del 1393.



Ancora oggi è indicato il luogo esatto da cui venne gettato e le persone passando si tolgono il cappello, venerando il prete Giovanni come martire e invocandolo contro i danni che vengono dall’acqua. Il mattino dopo nel fiume galleggiava il suo cadavere che era circondato dalla luce. La città si indignò per il misfatto del loro re e Giovanni fu portato in processione, alla chiesa vicina di S. Croce, mentre tutti i fedeli piangendo, accorrevano a baciare i piedi e a chiedere intercessioni. Poi, durante la Controriforma, i Gesuiti, in polemica con i protestanti che rifiutano il sacramento della confessione rendono Giovanni da Nepomuk il “martire del confessionale”.

Leggi anche

San Diego d'Alcalà, 13 novembre 2024/ Oggi si celebra lo schivo frate amatissimo in tutto il mondo