“Un’occasione imperdibile”. Il dottor Giustino Parruti, primario di Malattie infettive dell’ospedale di Pescara, definisce così il progetto “Fai il test anche tu”, promosso da una rete di realtà impegnate nel mondo della medicina e della ricerca scientifica, e sostenuto dalla Regione Abruzzo.



Un esempio di buona sanità, oltre che di passione per il proprio lavoro che meritano di essere raccontati. Tutto parte da una constatazione importante: scoprire precocemente di essere infetti dal virus Hiv è decisivo per la propria sopravvivenza, e per evitare di contagiare altre persone con il replicare i comportamenti a rischio. Quando preso per tempo, infatti, il virus si può curare con ottimi risultati, mentre si riduce efficacemente la sua diffusione, più aggressiva quando l’infezione è in fase avanzata.



Ma oggi fare il test – un semplicissimo prelievo di sangue – non solo non è sentito come esigenza, vista la mancanza di sintomi della malattia, ma genera ancora molta paura ed inevitabile ritrosia, al punto che la scoperta dell’infezione di frequente avviene quasi casualmente, in occasione di altri esami, e quando il contagio è purtroppo in fase molto avanzata, con l’inevitabile riduzione delle aspettative di vita e la probabile moltiplicazione della diffusione.

Il progetto “Fai il test anche tu” è stato pensato proprio per allargare sensibilmente la base delle persone che scelgono di fare il test consapevolmente e senza rinunciare alla necessaria privacy, evitando la dannosa scoperta del contagio in fase avanzata, quando spesso è troppo tardi. L’idea, nata dalla sinergia tra Ausl Pescara, Regione Abruzzo, Federfarma e Fondazione Camillo De Lellis per l’innovazione e la ricerca in medicina, è semplice: utilizzare uno strumento tecnologico come un sito Internet – www.failtestanchetu.it – per superare la barriera apparentemente invalicabile del timore (personale e del proprio ambiente di vita), puntando su una ricca informazione sulla malattia e i rischi connessi, e la necessaria riservatezza.



Tutti possono accedere al sito e fare una prima, indispensabile verifica: calcolare quanto si è esposti al rischio di aver contratto il virus. Rispondendo ad un questionario completamente anonimo, chiamato Risk Calculator, si valuta quanto potrebbe essere necessario ricorrere al test: a seconda della luce del semaforo finale l’interessato capirà se è urgente farlo (rosso), se può prenderlo in considerazione anche se il rischio è basso (giallo) o se può farne a meno (verde). In caso di dubbio, chi ha calcolato il rischio può comunque richiedere ulteriori informazioni tramite il form di contatto. Chi decide di fare il test, quindi, può scegliere direttamente tramite sito – e anche con uno pseudonimo, quindi senza dichiarare le proprie generalità – uno dei centri specializzati che in Abruzzo aderiscono al progetto: Pescara, Teramo, L’Aquila, Chieti, Avezzano e Vasto, dove sono a disposizione équipe preparate che forniranno anche un consulto preliminare per chiarire ogni dubbio.

Il tutto rigorosamente in forma gratuita. Oltre all’Hiv ognuno potrà essere gratuitamente testato anche per il virus dell’epatite C, dell’epatite B e per la sifilide. Il sito, inoltre, è ricco di informazioni per saperne di più sul mondo di queste malattie infettive.

Perché dell’Aids non dobbiamo più aver paura, ma di scoprirlo troppo tardi sì? Giustino Parruti, da anni in prima linea nella lotta all’Hiv, membro della Fondazione Camillo De Lellis e tra gli ideatori del progetto “Fai il test anche tu”, ricostruisce come si è giunti a questo progetto: “Nel 1981 fu descritta in modo definito la ‘nuova’ sindrome da immunodeficienza in giovani adulti, all’epoca nella quasi totalità omosessuali o tossicodipendenti, che si andava diffondendo nel Nord America e in Europa. Dopo soli due anni venne scoperto il virus che causa questa sindrome che in inglese si abbrevia in Aids (Acquired Immunodeficiency Syndrome), e il virus lento identificato fu battezzato Hiv (Human Immunodeficiency Virus), che causa una progressiva riduzione del numero e della qualità dei linfociti del tipo CD4, essenziali per una buona regolazione ed un corretto funzionamento del nostro sistema immune, cioè di quel complesso di meccanismi che ci difende dai microorganismi residenti nel nostro corpo o provenienti dall’esterno. Quando – spiega il primario -, a seguito dell’azione distruttrice e disregolatrice dell’Hiv i linfociti CD4 diventano insufficienti a svolgere le loro funzioni di difesa e coordinamento, la persona infetta diviene incapace di proteggersi dalla continua aggressione e finisce per sviluppare una serie di infezioni che progressivamente crescono fino a causarne la morte”.

In generale, tra l’ingresso del virus Hiv nel nuovo infetto e l’inizio della fase di queste infezioni “passano tra i dieci e i quindici anni di vita pressoché normale, durante la quale l’infetto mantiene una normale attività e generalmente diffonde ad altri il virus Hiv o tramite lo scambio di siringhe o per via sessuale, essendo i rapporti omosessuali molto più rischiosi di quelli eterosessuali”.

Negli anni Ottanta, scoprire di avere l’infezione non poteva aiutare a prevenire la fase di immunodeficienza finale ma oggi il contesto è assolutamente diverso perché ci sono farmaci efficaci per bloccare l’Hiv e ridare all’infetto una piena aspettativa di vita normale. “L’individuazione precoce – spiega Parruti – permette di avviare la terapia contro il virus prima della comparsa dei sintomi. In questo caso, abbiamo la ragionevole certezza di avergli restituito un’attesa di vita normale rispetto ai non infetti. Inoltre, se tutti gli infetti residenti in una zona scoprissero precocemente la propria condizione, lì non potrebbe più esserci trasmissione di Hiv. Il test – conclude Parruti – è una procedura molto semplice e sicura, ma per tanti è inaccessibile per invisibili ma fortissime barriere psicologiche”. 

Ecco allora che questo progetto rappresenta un’occasione da non perdere, che nasce dalla sinergia di persone ed enti appassionati al proprio lavoro, da tempo in prima linea contro un problema, quello dell’Aids, che anche a livello internazionale è stato capace di catalizzare l’attenzione del mondo scientifico, i cui risultati oggi sono davvero sotto gli occhi di tutti.

Ma si può, e si deve fare ancora di più: questo progetto va proprio in questa direzione.