Gerardo D’Ambrosio ha incrociato la sua carriera professionale con gli eventi cruciali della storia d’Italia dal 1969, anno della strage di Piazza Fontana, fino al processo Pinelli, ai processi per terrorismo, agli scandali della politica e della finanza italiana, a Mani pulite. Uscito dai ranghi della magistratura, è stato eletto senatore per due legislature come indipendente nelle liste del Pd. Uomo di una sinistra mite, non ideologica, non ha mai fatto pesare le proprie convinzioni sui fatti che le inchieste gli mettevano davanti in qualità di giudice istruttore. La sentenza in cui liberava il Commissario Luigi Calabresi dall’accusa di “aver suicidato” l’anarchico Giuseppe Pinelli, a sua volta ingiustamente accusato di aver messo la bomba di Piazza Fontana, spaccò la sinistra e gli attirò le minacce di quella armata. La quale aveva già emesso la propria sentenza di condanna a morte nei confronti di Luigi Calabresi, uccidendolo in un agguato il 17 maggio del 1972. Dell’assassinio saranno imputati Adriano Sofri ed altri e condannati, dopo molte giravolte giudiziarie.
La fedeltà ai fatti accertati è stata la sua etica professionale, a costo di andare controcorrente. I processi per terrorismo erano pericolosi in quegli anni per la vita dei magistrati, alcuni dei quali sono stati uccisi, da Galli ad Alessandrini. Nella Repubblica delle stragi impunite e degli scandali ha compiuto il proprio dovere, senza proclami e iattanze ideologiche. Nel pool di Mani Pulite, si è astenuto, diversamente da altri colleghi del pool, dall’attribuirsi una missione salvifica rivolta alla politica e alla società civile. E, soprattutto, ha rifiutato, nonostante le pressioni di forze a lui vicine, di impegnarsi nell’agone politico, finché si trovava nei ranghi della magistratura. Nessuna mitologia della società civile, nessuna tentazione di assumersi in quanto giudice dei ruoli politici, attento a tenere separati i poteri, anche quando la magistratura godeva di grande popolarità e alimentava al proprio interno tentazioni di sostitutismo rispetto alla politica.
Da questo punto di vista Gerardo D’Ambrosio aveva ben chiara la separazione liberale dei poteri come sola garanzia degli interessi della giustizia, esercitata in nome del popolo sovrano. Dunque, agli antipodi rispetto a Di Pietro e a quella sinistra giudiziaria, che, persa per strada la classe operaia quale soggetto del cambiamento prossimo venturo, puntò seriamente alla via giudiziario-giacobina al socialismo. Ha attraversato a passo leggero il trentennio più difficile dell’Italia. Fa una certa vergogna che nel Consiglio comunale di Santa Maria a Vico (Caserta), paese natale di D’Ambrosio, la maggioranza forzaitaliota gli abbia rifiutato la cittadinanza onoraria, accusandolo di “non essersi mantenuto al di sopra delle parti”.
A quest’uomo competente e probo si può dedicare, quale epigrafe sulla sua tomba, quanto disse Max Weber ai propri studenti, all’indomani della catastrofe del 1918: “La semplice probità intellettuale ci impone di mettere in chiaro che oggi tutti coloro i quali vivono nell’attesa di nuovi profeti e nuovi redentori si trovano nella stessa situazione descritta nel bellissimo canto della scolta idumea durante il periodo dell’esilio, che si legge nell’oracolo di Isaia: Una voce chiama da Seir in Edom: Sentinella! Quanto durerà ancora la notte? E la sentinella risponde: Verrà il mattino, ma è ancora notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta. Il popolo, al quale veniva data questa risposta, ha domandato e atteso ben più di due millenni, e sappiamo il suo tragico destino. Ne vogliamo trarre l’ammonimento che anelare ed attendere non basta…: ci metteremo al nostro lavoro e adempiremo al “compito quotidiano” – nella nostra qualità di uomini e nella nostra attività professionale. Ciò è semplice e facile, quando ognuno abbia trovato e segua il demone che tiene insieme i fili della sua vita“.