Neknomination è un termine che i frequentatori di Facebook conoscono bene, soprattutto se hanno fra i loro contatti molti giovani o se lo sono loro stessi. È una pratica importata dall’Australia – dove è nata a gennaio – che si è rapidamente diffusa in Europa e ora anche da noi. Bastano alcune bottiglie di alcolici, una connessione in rete e una webcam per realizzare, nella sua forma più completa, una recita che prevede quattro atti. Atto primo: ci si attacca al collo della bottiglia (nek) di un alcolico e superalcolico, possibilmente fino a ubriacarsi. Atto secondo: si compie una bravata da ubriachi. Atto terzo: si posta il tutto in rete (perché ovviamente i primi due atti sono stati accuratamente filmati). Atto quarto: si nomina (nomination) qualcuno che entro 24 ore deve fare lo stesso. La “moda” ha già mietuto alcune vittime nel mondo, si parla di qualche decina di giovani morti per overdose di alcol o per le conseguenze dei gesti compiuti in completo stato di ebbrezza e incoscienza. 



Per fortuna la pratica assume generalmente una forma molto più blanda, meno estrema, si riduce a scolare tutta di un fiato una bottiglia di birra e nominare successivamente una serie di amici che devono fare altrettanto. Fa una certa impressione tuttavia osservare come i (tantissimi) nominati non riescano a sottrarsi a perpetuare questa catena, anzi contribuiscano ad amplificarla nominando a loro volta più persone, trovandolo divertente. Si tratta di una “prova” da superare per testimoniare di essere forti, di non essere dei codardi, di essere forse grandi. Sottrarsi sarebbe interpretato come un gesto da pavidi, da deboli. 



Poco importa qui il contenuto della nomination, al quale potremmo mettere la classica x di indeterminatezza, resta il fatto che basta che l’altro mi nomini perché io debba eseguire. La nomina diventa infatti un comando irresistibile, cui sembra impossibile sottrarsi, cui il soggetto si sente costretto a obbedire per dimostrare a sé e al mondo dei pari di che pasta è fatto, la pasta dei duri, di quelli che non dicono no. 

Che atto di forza e potenza sarebbe invece dire no! Significherebbe anteporre il proprio giudizio al comando di un altro, quel pensiero che fa valutare se un atto convenga realmente, se porta frutto o danno, se interessa davvero oppure no. All’appagamento narcisistico di un’impresa da postare ed esibire in rete si sostituirebbe allora la soddisfazione di un atto di pensiero che ha valutato il vantaggio del proprio operare e ha agito di conseguenza.



Sarebbe sufficiente considerare come il potere stia tutto dalla parte di ignorare la nomination, non seguirla. Non basta infatti che mi venga chiesta una cosa perché io la faccia, occorre che vi dia un assenso motivato e ragionevole.

Per fortuna c’è anche chi ci riesce e la Rete gli rende merito. Proprio in questi giorni è diventato virale il video di Carlo Alberto, studente di giurisprudenza a Torino, che ha risposto alla nomina con una ironica tazzona di aranciata. 

Con la neknomination è in gioco per i più giovani anche la questione di chi è l’amico. Un amico che sfida non è quello che prova a incastrare l’altro pubblicamente in una nomina cercando di fare leva sul suo orgoglio. È piuttosto colui che propone idee e ipotesi interessanti, quello che offre la sua compagnia reale, quello che, semmai, ti porta fuori a gustare una birra insieme mentre si chiacchiera della vita invece di spingerti a tracannarla d’un fiato, senza neanche assaporarla.

Dopo la notte degli Oscar, continuano a esserci tante nomination in rete. Troppe. In questo caso “the winner” è proprio chi sa tirarsi indietro, chi riesce a dire no grazie, a questo gioco non ci sto.

Amico, nominami pure, ma per qualcosa che valga la pena. Io non aspetto altro.

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