C’è qualcosa che unisce i dibattuti casi riguardanti i nuovi diritti e l’etica balzato all’onor delle cronache nei giorni scorsi. La Consulta, che rigetta ancora un pezzo della Legge 40, sdoganando di fatto la fecondazione eterologa e aprendo il ranch del far west procreativo, dal momento che, in assenza di una legge, vale qualsiasi legge. E la notizia meno rilevante (non si tratta di manipolazione della vita umana) del tribunale di Grosseto, che ordina al comune di trascrivere il certificato di nozze contratto da due omosessuali a New York, due anni fa. Finora in Italia non era mai stato possibile. Cosa unisce le due notizie? Che la cronaca le ha trattate nello stesso modo, come passi dovuti di un lento, ma necessario e auspicato progresso, anche in un paese soggetto a un’etica permeata dal dominio della Chiesa? Non solo. Come scacco finale a quella restrizione delle libertà individuali che i governi di centro destra hanno coperto, strizzando l’occhio ai preti? Non solo. Di più: come nuovo corso indirizzato dal successore di Pietro, quel papa che ha spalancato le braccia ai gay? Dicono così, estrapolando una frase dettata dalla carità e dall’amore per la persona, trasformandola in bandiera per rivendicazioni che cozzano con la dottrina, non solo con la morale, della Chiesa.



C’è in comune l’indifferenza dei più, che si bevono l’assunto di una scienza onnipotente e a servizio dei desideri dell’uomo (che pure nulla ancora può contro la morte, chissà perché). L’idea che la libertà sia fare quel che ti pare, senza neanche il resto dl vecchio adagio “finchè non lede la libertà degli altri”, perchè almeno nel caso della fecondazione eterologa si dimentica che ci sono altri soggetti in gioco, per esempio i concepiti. Vabbè che non parlano, e non votano, almeno per ora, ci sarà tempo per educarli, in futuro. L’idea che ogni desiderio è un diritto, e che ci si scandalizza di chi va con le minorenni solo per ipocrisia e farisaismo mascherato di ossequio alla legalità laica. Quel che voglio me lo prendo, e qualsiasi impedimento è lesivo della mia libera volontà. Nascere, morire, sposarmi, far figli, quando e con chi e come, e perché non l’harem, o la lolita in casa, perché no. Infatti, c’è chi giustifica persino la pedofilia. Ma non si può dire, paragonare le cose suona offesa al buon senso, che a tanto non si è ancora spinta l’opinione dominante.



Le due notizie poi, che fanno incrociare le spade solo a gruppi di fanatici, si crede, contano ben poco dietro ai martellanti dati sulla crisi economica, o sotto i tweet rassicuranti del nostro spargitor di speranze un tanto al dì. Che ci importa della bioetica, anzi, di più: se i gay vogliono sposarsi, affar loro; se vogliono adottare bambini, affar loro. Magari resteranno gli unici, dato che le coppie di sesso opposto di dedicheranno alla compravendita-affitto di ovuli, spermatozoi, uteri e quant’altro. Soprattutto, le due notizie hanno in comune un’amara verità, che subiamo senza batter ciglio: in Italia comandano i giudici. Non è uno slogan del cerchio magico berlusconiano. Le decisioni su cui si è espressa, o non si è colpevolmente espressa, la politica, le prendono i giudici, e diventano leggi. Solo che i giudici le leggi devono farle applicare, non scriverle.



Ora, il fatto che due uomini che pensano di amarsi profondamente vogliano veder riconosciuta la loro unione, fatti salvi i diritti civili, che sono sacrosanti, la dice lunga sull’importanza di un nucleo familiare, che tutti cerchiamo; la dice lunga sul bisogno di affetto, sul desiderio infinito di felicità che tutti ci arrabattiamo a immaginare. Solo che immaginiamo male. Per essere omosessuali, senza complessi, senza barriere, non c’è bisogno di scimmiottare i matrimoni naturali, che da quando è nato l’uomo sono tra due sessi opposti. Si può far senza, ed è stato un vessillo di anni e anni di rivoluzioni, contrastare i modelli di famiglia tradizionale. Perché questa retromarcia? Perchè sottolineare una diversità al punto da trasformare un desiderio umanissimo in pretesa? Il cuore dell’uomo è troppo grande per accontentarsi di surrogati, di riduzioni in scatola della felicità. Quid animo satis? Non può rispondere un giudice, anche se crediamo ci dia finalmente ragione.