A leggere le agenzie e i primi servizi online sembra che una coppia di gemelli/embrioni sia stata impiantata per errore nell’utero di una signora che non è la loro mamma biologica. Il tutto sarebbe accaduto a Roma, e si sarebbe scoperto a 3 mesi di gestazione.
Il pensiero va in primo luogo alla fatica di quella donna e del marito, in un momento di stress e difficoltà forti: sapere d’improvviso di portare una coppia di figli che non sono i figli che avevano concepito, e sapere che i loro figli sono altrove. E il pensiero va ai due bambini che spero nasceranno da questa mamma, che lei forse o certamente ama, e che ora dovrà essere chiarito se saranno figli legalmente suoi o se legalmente andranno alla mamma che li ha generati. Il pensiero va anche ai figli-embrioni della signora, quelli che le dovevano essere impiantati, e di cui le cronache non danno notizie. E, non ultimo in importanza, il pensiero va alla coppia che ha generato i due figli/embrioni ora impiantati nell’utero di una mamma che non è la loro mamma biologica. Insomma, tanti soggetti in questo momento forse tutti fragili, tutti con i loro diritti, tutti con il loro bisogno di amore; purtroppo invece si rischia di dimenticarcelo; di far passare la parola “impiantare” davanti alla parola “mamma” – termine che sembra ormai ancestrale -, la parola “diritto” o “dovere” davanti alla parola “figlio”.
Un modo in cui non vorremmo che una storia simile potrebbe finire è che la gravidanza cessi per una scelta di chi ha ricevuto gli embrioni non suoi, e non ci sembra il finale auspicabile; figli un po’ suoi pur non essendolo biologicamente; e viene da notare che in questo caso la gravidanza della donna cesserebbe, ma così cesserebbe anche la vita degli embrioni di un’altra donna. I figli biologici di un’altra coppia che vuole quei figli. Far cessare delle vite non è mai una buona soluzione. E si può discutere su quale diritto prevalga; quello alla nascita, alla cessazione della gravidanza, ad avere un figlio, a non avere un figlio non proprio, ad avere il figlio proprio dal grembo altrui. E si può discutere sui diritti/doveri: quelli della struttura medica, quello di tutelare la vita, quello di decidere chi è genitore di chi.
Ma ci piacerebbe che tutta questa discussione non fosse una fredda disputa di diritti e di doveri. Sarebbe bello che si parlasse di persone, di mamme, di figli. Perché così è.
Che si parlasse delle persone adulte che si trovano a un dilemma; delle persone concepite che hanno iniziato la loro vita nell’utero di una mamma; e delle persone concepite da quella stessa mamma che sono “altrove”. Per arrivare tutti ad un abbraccio, un abbraccio faticoso ma liberatorio: i bambini in attesa dell’abbraccio delle mamme e viceversa.
Una società che apre la porta alle soluzioni meccaniche senza contemporaneamente fare un forte lavoro culturale (chi è l’embrione, chi è il figlio?) e senza fare un forte lavoro di prevenzione della sterilità, può arrivare ad errori. Certi errori possono essere corretti. In questo caso la correzione potrebbe essere il forte abbraccio di cui parlavo: tra chi ama e chi è amato, al di là dei contenziosi, delle affermazioni di proprietà.
E forse questa storia aiuterà tanti a riflettere sull’importanza del lavoro culturale in campo procreativo e preventivo della sterilità, al di là delle facili rassicurazioni con cui troppi massmedia disegnano le tecniche di fecondazione medica.