Ore 11.15, aula Luf2 di Fisica. Finisce la lezione di Istituzione di Fisica nucleare. Entra la direttrice di Dipartimento e ci informa che Nicola, nostro compagno di corso è stato trovato senza vita nell’atrio della Torre di Archimede dopo essersi lanciato dalla tromba delle scale. Hanno controllato la sua carriera: si tratta di uno studente brillante…non ci si spiega l’accaduto. Cala il silenzio in aula. Io rimango ammutolito. Mi viene davanti agli occhi il suo viso…e una domanda: perché lo ha fatto? Non lo conoscevo bene, ci avrò parlato un paio di volte, eppure ho sempre nutrito grande stima per lui: la mia non è una classe particolarmente interattiva con i prof, ma lui si sedeva nelle prime file e ad ogni domanda rispondeva sempre in modo puntuale e intelligente. Era difficile non accorgersi di lui: per questo stamattina, alla prima domanda del prof, ho guardato subito verso la seconda fila, dove di solito si sedeva, ho notato che non c’era e son rimasto sorpreso: “come mai manca stamattina?”. 



In quegli istanti di silenzio agghiacciante, mi è esplosa di schianto la domanda: perché? Cosa gli ha impedito stamattina di entrare come sempre in aula e porre le sue domande? Cosa si è spezzato? Non c’è nulla di quello che ho visto in lui, di quello che ho conosciuto di lui, che spieghi questo gesto estremo. Perché? Perché ha deciso che stamattina non “valeva la pena” fare quello che ha sempre fatto?



Ecco, i miei pensieri si sono bloccati su quel “vale la pena”.

Subito la domanda si è drammaticamente girata su di me: perché vale la pena che io sia qui ora? E poi come un fiume… Ma io che cosa cerco? Dove cerco? Che compagnia faccio ai miei compagni di corso e ai miei amici? Come sono loro amico? e io di cosa ho bisogno per vivere? 

Nicola…che conosco così poco…l’ho sentito immediatamente così amico. Amico e compagno in quel grido di senso e di significato di fronte alle cose che faccio. Da quel momento, niente nella giornata è stato più banale.

Allo sgomento, si è aggiunta la commozione. Esile, perché impregnata di dolore, eppure evidente. Mi sono venute in mente alcune facce di amici che in questi anni mi hanno aiutato a guardare quell’inquietudine che provo spesso di fronte alla mia vita, quel desiderio di felicità e di infinito che mi porto dentro. Facce che mi vogliono bene in modo gratuito, nonostante la mia miseria e che mi fanno compagnia nella vita. 



Quello che è successo chiede drammaticamente se c’è qualcosa che risponde a tutte quelle domande che sono sorte in me. Riemerge quindi, quel giorno (ricordo il luogo e l’ora) in cui mi sono imbattuto in un uomo, don Luigi Giussani che aveva le mie stesse domande, le stesse di Nicola, e che testimoniava che ad esse c’era una risposta: il fatto che il mio cuore desideri di essere amato infinitamente non è indice che sono fatto male, che sono sbagliato, ma che esiste davvero Qualcuno che lo compie tutto, che in questo istante mi ama e mi vuole, così come sono. 

Pieno di dolore e di domanda, proprio in questi giorni in cui facciamo memoria della Passione di Cristo, chiedo di potermi immedesimare nel Suo dolore sulla croce per poter riscoprire di più la gioia della Sua vittoria e resurrezione oggi, più che mai certo che ad accogliere Nicola alla fine del salto c’era proprio Lui che teneramente lo prendeva con sé nel Suo abbraccio.

Luca Bonaldo