La precedente formulazione dell’art. 416 ter del codice penale sanzionava con la reclusione da 7 a 12 anni «chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro», il testo del nuovo articolo 416 ter cp, licenziato oggi dal Senato della Repubblica, punisce con la pena della reclusione da 4 a 10 anni «chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis – vale a dire le modalità tipiche della capacità intimidativa del metodo mafioso – in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità», estendendo poi la stessa cornice di punibilità «a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma».
La riforma contiene certamente un abbattimento sanzionatorio (la pena va da 4 a 10 anni e non più da 7 a 12), cui tuttavia fanno da pendant dei rilevanti incrementi dello spazio di punibilità delle condotte inerenti lo scambio elettorale tra politica e mafia. Infatti, 1. non è più necessaria l’avvenuta erogazione di una somma di denaro, per la consumazione del reato, essendo in realtà sufficiente la semplice e spesso previa promessa di erogazione; tale modifica normativa offre agli investigatori ed all’accusa una rilevante semplificazione dei meccanismi di ricerca della prova, che potranno limitarsi, ai fini della contestazione del reato, a reperire la prova dell’avvenuto accordo – certamente documentabile anche con semplici intercettazioni di conversazioni – in luogo della ben più complicata ricerca probatoria, avente ad oggetto un’avvenuta ed effettiva dazione di denaro; 2. la promessa, e l’accordo conseguente l’accettazione, potranno avere ad oggetto non più e non solo il denaro, potendo ora coinvolgere anche “altra utilità”: l’interpretazione che la magistratura giudicante ha sempre offerto di tale nozione è così ampia, da aprire alla comprensione di promesse di utilità anche non di natura strettamente patrimoniale.
Tutto ciò appare apprezzabile, non solo e non tanto quale strumento d’incremento e semplificazione delle attività di contrasto alla penetrazione della criminalità organizzata nei meccanismi elettorali, che sono il fondamento della democrazia politica, ma anche – e soprattutto a mio giudizio – in ragione della necessità di mettere ordine con dei confini efficaci, ed al contempo netti, tra le condotte di vera e propria adesione ad un consorzio criminale mafioso, che meritano certamente le più gravi sanzioni dell’art. 416 bis c.p. e quelle che, pur di contiguità o di rafforzamento del consorzio – come il promettere utilità in cambio di voti –, non si sostanziano in un’adesione partecipativa all’associazione mafiosa stessa.
Com’è noto, infatti, nonostante non ve ne sia traccia nella lettera della legge, nel nostro ordinamento si è consolidata una tradizione giurisprudenziale ormai ventennale, che consente di configurare il delitto di “concorso esterno” nel reato di associazione mafiosa, che ha ad oggetto, per così dire, le condotte di chi non partecipa dell’associazione, ma, da esterno ad essa, pone in essere delle attività che rafforzano e consolidano la struttura, l’integrità e la capacità operativa dell’associazione stessa.
Ora, non vi è dubbio che la condotta del politico che eroga favori di qualsiasi utilità ad un’associazione mafiosa, in cambio della promessa di voti, sia astrattamente ascrivibile all’indefinito “concorso esterno“, rafforzando e consolidando l’esistenza dell’associazione stessa; ma questo è un risultato interpretativo contro la lettera della legge.
E siccome la legalità penale è il valore primario di una società liberal-democratica, il risultato più importante della riforma legislativa dell’art. 416 ter cp è quello per il quale, ampliandosi lo spazio di punibilità dello scambio elettorale politico-mafioso, si potranno ridurre, finalmente, gli spazi di configurabilità del concorso esterno nell’associazione mafiosa, che è e resta incriminazione estranea alla legalità penale.