Per anni ha chiamato papà un uomo che in realtà suo padre non era. Per questo motivo un ragazzino di 14 anni e sua madre verranno risarciti con 50mila euro dall’ospedale Sant’Anna di Como e dal responsabile del laboratorio di genetica che all’epoca sbagliò il test del Dna. Tutto ha inizio infatti nel 1999, quando la donna rimane incinta durante una relazione non stabile con un uomo che, dopo la nascita del bimbo, chiede il test per avere la certezza della paternità poi confermata al 99,9%. La situazione cambia radicalmente nel 2003, quando l’uomo (che nel frattempo ha fatto da padre al piccolo pur non vivendo insieme alla donna) chiede un nuovo test del Dna per motivi che non ha voluto rendere noti: il risultato è completamente diverso e lui decide di scomparire dalla vita della donna e del bimbo insieme a tutta la sua famiglia. La madre non ci sta e fa ricorso al tribunale dei minori, ma un altro test conferma il secondo esito: quell’uomo non è il padre naturale di suo figlio e il test del 2000, effettuato con kit non idonei, era errato. Per questo l’ospedale e il responsabile del laboratorio sono stati condannati. “Per il bimbo quello è stato il padre per tre anni, un padre che è venuto improvvisamente a mancare – ha detto l’avvocato Giovanna Petazzi – Riteniamo, anche sulla scorta di altre sentenze in materia, che la lesione affettiva sussista comunque, indipendentemente dalla mancata morte del genitore”.



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