Da qualche anno aleggia in Italia questo sentore di crisi demografica.

Ora di questo si parla anche sulla stampa straniera, sul Wall Street Journal, dove vengono messi in evidenza nuovi atteggiamenti nei confronti della maternità: cambiamenti di mentalità, scarsa partecipazione degli uomini al lavoro domestico, età tardiva della donna che, dopo la laurea ottenuta anche verso i trent’anni, si pone come unico obiettivo il fare carriera, scarsità di servizi per l’infanzia e infine le ristrettezze finanziarie provocate dalla crisi economica che in questi ultimi anni rende precario l’inserimento nel mondo del lavoro.



Al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, durante i numerosissimi colloqui con le donne e le coppie, abbiamo avuto spesso la netta percezione di tutti questi fenomeni socioculturali. Quello che ci colpisce di più, però, è l’aspetto dovuto alla carenza di disponibilità economiche per l’estrema difficoltà di trovare lavori stabili. Tanto per rinfocolare la polemica, voglio ancora una volta smentire ciò che da ultimo è stato dichiarato da Regione Lombardia, che ha praticamente soppresso l’unico fondo pubblico a sostegno della maternità difficile; il Fondo Nasko, infatti, poteva rappresentare un minimo di sicurezza per i ridotti bilanci delle coppie italiane.



Racconterò, come esempio di quanto affermato, ciò che è accaduto questa mattina (ieri, ndr), 22 aprile, presso la nostra sede: Francesca e Marco, rispettivamente di 36 e 33 anni, si sono presentati agli uffici per l’interruzione della gravidanza, che avevano deciso di accettare; siamo infatti quasi alla dodicesima settimana.

Marco fino a dieci giorni fa lavorava presso una piccola azienda che senza nessun preavviso ha dovuto serrare i battenti; il suo stipendio, piuttosto esiguo per la verità, gli permetteva però di pagare un affitto di 600 euro mensili e di procurare il necessario per vivere a sé e a Francesca.



Francesca non lavora da un paio di anni, e quindi ora si trovano a entrate pari a zero. Come potranno vivere da qui in avanti? La prima decisione è stata quella di interrompere la gestazione: che cosa avrebbero mai potuto dare a un figlio in arrivo?

L’ospedale, avendo appurato che le motivazioni erano di ordine prettamente economico, ha dato l’indicazione di un colloquio presso il nostro Centro di Aiuto alla Vita.

Li abbiamo accolti, ascoltati, stabilito una relazione che potesse farli sentire sostenuti dal punto di vista psicologico e che desse origine a un progetto di aiuti materiali. Non siamo di certo ricchi, e ciò che abbiamo potuto offrire vuole essere una risposta di vicinanza che possa garantire almeno la sopravvivenza.

Ci siamo fatti carico di fornire un sussidio in denaro per diciotto mesi, un percorso consultoriale che riempia di senso psicologico l’evento nascita, beni di prima necessità, compresi alimenti per la coppia e materiale indispensabile per un neonato, come i pannolini.

Francesca e Marco sono arrivati solo per aver ricevuto un’indicazione; dalla nostra operatrice hanno però ricevuto espressioni di grande vicinanza e solidarietà. Inatteso tutto ciò!

Così, ancora una volta, l’aver porto una mano ha portato con sé la possibilità di far nascere.

Marco troverà, speriamo presto, un lavoro che renda più solido il bilancio familiare, ma per il momento il nostro progetto ha reso percorribile la possibilità di proseguire la gravidanza. Francesca ne è stata felice, il suo bambino potrà nascere e lei non si sentirà nel cuore la grave responsabilità di aver interrotto una vita.

A questo punto mi chiedo: se un’associazione di volontariato come la nostra può procurare questi “miracoli”, quanto più potrebbe fare, volendolo, l’ente pubblico?

Come diceva l’articolo, le strutture per l’infanzia sono insufficienti, a volte non si può contare sull’aiuto prezioso dei nonni, ma la causa che più ostacola la nascita dei bambini, facendo aumentare il freddo dell’inverno demografico, resta l’indigenza e la lontananza dal problema dell’ente pubblico.

In Italia vige la legge 194, che si propone anche di tutelare la maternità. Vengono applicate queste norme? La risposta è no. La solidarietà permette ciò che le istituzioni negano.