Caro direttore, l’attenzione che i media stanno dedicando alla canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II non può essere spiegata solamente col fatto che i due, essendo ancora pontefici molto amati, incontrino un favore di pubblico tale da ingolosire gli inserzionisti pubblicitari che promuovono e sostengono il mondo delle news. Non può neppure essere ascritta a strategia politica e comunicativa del furbo e astuto papa Francesco che, secondo l’esegesi dei giornalino di casa nostra e di oltre oceano, nella sua opera instancabile di riaccreditamento della Chiesa Cattolica presso il mondo, vorrebbe adesso promuovere due figure che hanno riscosso grande successo presso l’opinione pubblica nel tentativo, palese, di collocare la propria azione di governo sotto l’egida dei due santi. 



L’episodio tragico avvenuto al Dosso dell’Androla, dove il Cristo Redentore di Enrico Job benedetto nel 1998 da Wojtyla è crollato travolgendo un giovane ventenne, ci ha mostrato infatti – proprio attraverso l’eco che il fatto ha avuto su tutti i media – che dietro a questo evento c’è di più, c’è qualcosa che chiunque intuisce, ma che è ben difficile esprimere. Quando accadono fatti come quello del monte Cevo, e quando le coincidenze sono così impressionanti, l’uomo avverte dentro di sé qualcosa che sa, ma che quotidianamente fa fatica ad ammettere: il fatto che nel mondo ci sia Qualcuno che muove tutto e che guida tutto. 



Certo, il nostro modo di intendere questo Qualcuno è spesso da teatro dei burattini (ce lo raffiguriamo su un bianco trono a decidere della vita e della morte di chicchessia, distribuendo con criteri criptici e casuali premi e punizioni a tutto il genere umano), ma questa nostra puerilità nel comprendere il modo con cui questo Qualcuno agisce non toglie nulla al fatto che – dinnanzi a certe circostanze – si riattivi la percezione che esso ci sia, esista. Quando papa Montini, allora arcivescovo di Milano, parlava del “senso religioso” intendeva questo come un “sesto senso” accanto ai cinque che conosciamo: noi infatti non solo siamo capaci di toccare, di odorare, di udire, di vedere e di percepire il gusto delle cose, ma anche di avvertire la presenza stessa di Dio. 



Il nostro “senso religioso” si riattiva ogni qualvolta si trova di fronte all’oggetto per cui è fatto. La piattaforma radiotelevisiva e della carta stampata, come quella multimediale della rete, ha avvertito in questi giorni un’attrattiva verso l’evento di piazza San Pietro che – in molti – hanno designato con l’aggettivo “storico” quasi senza saper dire – fino in fondo –  il perché di questa definizione. Non basta dire che vengono canonizzati due papi recenti, né che a celebrare questa canonizzazione ci siano due papi viventi: quello che trasuda da piazza san Pietro è molto di più. 

L’evento del Dosso dell’Androla ha in questo senso riaperto uno squarcio profondo sulla malcelata curiosità che tutti, atei e credenti, sperimentano verso questa celebrazione, ha messo in evidenza che quello che noi percepiamo – dentro tutti questi fatti – è la presenza del Mistero. È dalla presenza del Divino, silenziosa eppure imponente, che il circuito mediatico è infatti attratto, è da quella presenza che noi siamo calamitati, perché è quella presenza che ha riattivato in noi “il senso religioso”, la nostra capacità innata di riconoscere ciò per cui il nostro cuore è fatto. Se noi non ammettiamo questo prevarrà la tentazione – tutta occidentale – di trattare questo momento alla stregua del matrimonio tra il Principe William e Kate Middleton, fermandoci sul retroscena politico, sulle assenze e sulle presenze, sui momenti cool della cerimonia e su come i partecipanti siano vestiti: c’è uno sguardo che noi abitualmente usiamo nei confronti delle cose che ci fa perdere il meglio, che ci fa perdere il vero e che riduce tutto a pettegolezzo e a gossip, cogliendo ogni gesto e ogni parola non per quello che è, ma per quello che a noi in quel momento è più comodo che sia. 

Il vero guaio di tutta questa allerta mediatica sulla canonizzazione dei due papi sta nella possibilità che l’effluvio di immagini e di parole ci stordisca a tal punto, da non muoverci più, da non farci sentire tutto il contraccolpo di un fatto dove è evidente l’impronta e la mano di Dio. Noi non sappiamo perché al Dosso dell’Androla sia morto un uomo e non sappiamo perché Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II siano così intimamente legati; quello che sappiamo, e che ci dà forza e speranza, è che attraverso tutto questo ci afferra un terribile tarlo, quasi un tormento: l’indomita percezione di non essere soli, di avere Qualcuno che – con grande semplicità – si prende cura di noi. Facciamo in modo di non farci distrarre da altro, di non perderci proprio questo: apriamo gli occhi e lasciamo entrare tutta la portata di questo evento. 

Con un unico desiderio: quello di essere ancora di più aiutati, fragili e bestiali come sempre, a lasciare entrare nel cuore tutta la portata del volto di nostro figlio, del sorriso di nostra moglie, del contraccolpo drammatico di ogni fatto della vita. Perché in ogni fatto della vita si cela uno sguardo, lo sguardo di Uno che ci aspetta.