Sono i Santi che fanno marciare la Chiesa, che innescano quel dinamismo virtuoso generatore di splendore e gloria nel mondo. Sono specchi che riflettono Cristo. Inondano il grigiore di cui troppo spesso si accontenta la nostra vita, rendono tutto luminoso. Che siano pontefici o pastorelli ignoranti, dottori della fede o schiavi liberati, sono loro che producono la gioiosità della Chiesa. Fanno cantare e rallegrare gli angeli. Ieri nella plumbea Roma, con quella luce diffusa che mostrava implacabile tutte le rughe delle vecchie pietre, il centro della Cristianità brillava. E non per i volti dei due nuovi santi, stirati tra le colonne della Basilica, ma per la realtà viva di un popolo che forse ha ritrovato il passo ordinario della vita cristiana. 



Ormai gli appuntamenti con la Storia non interessano più. Si cerca altro. Il cristiano è diventato esigente. Molto. Non bastano i “selfie” nella piazza del Bernini, mischiati alla marea umana dalla schiuma slava, né attraggono le coreografie di bandiere, il melting pot di volti e odori, la corsa all’evento affollato di umanità e disagi. Non si vuole conquistare il pixel sul maxischermo o la citazione per una popolarità provinciale ed effimera. Non interessano neanche più quei cori da stadio che riempivano le attese di certe celebrazioni. 



Il bisogno è più profondo. Semplicemente più vero: conta ritrovarsi santi tra i santi. Nell’evento dai numeri forsennati, mediaticamente replicato, giocato insieme ai potenti della terra, terreno di sociologia a buon mercato, c’è l’imprevisto di un Vescovo e del suo popolo che non si accontentano di fare la Storia, ma desiderano dominarla. In un modo strano e forse inedito. Poca retorica e molta passione. Zero sentimenatlismo e pieno di concentrazione. Non so se è stata la massiccia presenza di polacchi in piazza San Pietro e in via della Conciliazione, con quel loro cattolicesimo granitico e riservato, fortemente identitario eppure inclusivo, ad alimentare una atmosfera di sobria e trattenuta esultanza. Oppure il vento bergamasco, dei solidi pellegrini lombardi così simili a Papa Roncalli. 



Ma certo qualcosa di diverso si è mostrato agli oltre 2 miliardi di persone che ieri hanno seguito in diretta il mega evento della doppia pontificia canonizzazione. Non è stato messo in scena un festival della fede, la solita woodstock cattolica per ingannare palati smaliziati, ma si è volutamente rimasti all’essenziale. Veglie notturne e code ai bagni chimici per accostare la santità, per pregare senza sosta, cercando la complicità del silenzio impossibile di 800mila anime, sgranando rosari su rosari, volutamente indifferenti al cielo minaccioso di pioggia. “I Santi mandano avanti la chiesa”. Lo ha detto Papa Francesco. E guardando quella massa umana piegata sulle ginocchia, intimamente grata per il dono di due grandi pastori, si comprende meglio cosa intendesse. 

Quasi non entusiasmano più i profili storici, indubbiamente straordinari, di Wojtyla e Roncalli, le vittorie nella partita a scacchi con il Nemico, l’eccezionalità dei loro magisteri. Ciò che conta è solo il coraggio mostrato nel guardare e toccare, come Tommaso, le piaghe sul corpo di Cristo. Uomini e santi. Uomini santi che non si sono scandalizzati della Croce, che non hanno avuto vergogna. Uomini e santi che non si sono lasciati sopraffare dal dolore e dalle immani tragedie che hanno conosciuto, ma solo dall’amore di Dio. Uomini santi che mostrano una possibilità di gioia e felicità alla portata di tutti. Paradossale se cercata nell’incontro con la carne piagata dei fratelli. Nella breve, intensissima e audace omelia con cui Bergoglio ho stillato il senso di due vite scannerizzate per anni da storici e intere generazioni di fedeli, si poteva cogliere l’ansia di restituire proprio alla Chiesa e al popolo di Dio, la verità di due esistenze per Dio. 

Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII sono stati gli artefici di quel processo che vede oggi la Chiesa di Francesco, eredità di Benedetto, impegnata nel cercare l’autenticità che le conviene. Il profeta del Concilio e il capomastro del cantiere aperto dal Vaticano II, sono i padri di una comunità che oggi più che mai ha bisogno di ritrovare e annunciare la bellezza della Resurrezione. Nelle parole di Bergoglio, Roncalli e Wojtyla, sono tornati ad essere prima di tutto contemplativi, testimoni della “speranza e della gioia pasquali”, forgiate dal “crogiolo della spogliazione e dello svuotamento”. Speranza e gioia per tutti. In una vicinanza estrema, “persino nauseante per l’amarezza del calice”, ai peccatori. 

Docilità e coraggio. Le stesse qualità che deve riscoprire la Chiesa per “addentrarsi nel mistero della Misericordia Divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama”. Docilità e coraggio, testimoniati ieri sul sagrato della Basilica da gli altri due pontefici del 27 aprile 2014: Benedetto e Francesco. Nel loro nuovo, commovente, sincero abbraccio la promessa di nuove grazie e splendidi doni per la cattolicità. 

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