I clienti dei Parioli patteggiano la pena per aver consumato rapporti sessuali con ragazze minorenni. Un’insegnante del tuscolano, colta in flagranza d’amorosi sensi omosessuali con una studentessa, patteggia lei pure.

Com’è normale l’opinione pubblica si divide, fomentata da dichiarazioni di politici, psicologi, sociologi e categorie varie. La fronda giustiazialista esige la gogna e condanne esemplari. I più accomodanti accrescono le responsabilità delle minorenni in questione, e chiedono elasticità di giudizio e valutazioni caso per caso. La materia è così delicata che si rischia di venir triturati solo per esprimere un timido parere, bisogna dribblare ostacoli ideologici e pregiudizi atavici, ma bisogna. Primo, le donne non sono tutte puttane, potenzialmente, nonostante i proverbi e i luoghi comuni. Né l’uomo costituzionalmente è cacciatore e quindi innocente se risponde a un istinto primario: l’indulgenza è istigazione a delinquere, esercizio da cattivi maestri. Secondo: se è turpe ottenere prestazioni sessuali a pagamento, perché chiunque “si offra” è a suo modo sfruttato, o sfruttabile, lo è molto di più nel caso di minorenni.



E non si reciti il ritornello ormai d’uso, “non immaginavo che”, “non sapevo l’età”. Un uomo abituato a palpeggiare carne umana deve avere almeno il sospetto che sia troppo tenera. E col sospetto, una retromarcia perlomeno furba, cautelare, se non morale. Altrimenti si tratta di vizio estremo, di perversione e questa va computata nelle pene. Eppure, se è vero l’assunto numero uno, è altrettanto vero che molte donne, anche giovani, sono e vogliono, fare le puttane. Lasciamo stare la società, la cultura, in cui l’induzione alla prostituzione traspira, mefitica e invasiva, fa capolino dalla tv e dai cartelloni pubblicitari, dalla rete e permea l’ambiente educativo intero. Inutile scandalizzarsi delle ragazze dei Parioli, o di Imperia, dopo aver visto il Grande Fratello.



Però quelle ormai celebri e per fortuna anonime ragazzine hanno pure una volontà e una libertà e l’hanno esercitata male. Non tutte le loro coetanee lo fanno, anche se hanno famiglie problematiche e situazioni difficili. Basta pensare che l’uomo è costituzionalmente buono e che la società è malvagia. Basta immaginare psicologie malate o condizionamenti esteriori che allargano le maglie del lecito, del giusto.

Il senso del bene e del male è in ogni uomo o donna che sia, dai primi vagiti della ragione. Quelle ragazze sapevano bene quel che facevano, e lo facevano per soldi. Non per mangiare, ma per vestire griffate. Come le vogliamo definire, fatue, immature…? Quarta osservazione, bisogna tener conto comunque della stupidità umana.



E’ perfino possibile che qualche avventore ottuso, travolto dall’eccitazione, abbia sorvolato sui mesi più e meno, anche Ruby aveva “quasi” diciotto anni. Se i clienti riconoscono l’errore, e non il peccato, è sufficiente che paghino, tanto, a seconda delle loro possibilità acclarate. Le galere sono fin troppo piene, e là dentro le perversioni le insegnano. Ma il silenzio, l’omertà no: che si sappiano i nomi e i cognomi, non solo del Capitano Floriani, gettato in pasto alla stampa per motivi politici, perché moglie intenda. Un po’ di sputtanamento, qualche piatto in testa in famiglia è il minimo, da mettere in conto. Nomi e cognomi, non vita e storie private, per tutelare il rispetto degli altri soggetti coinvolti, ad esempio i bambini.

Caso per caso, dunque, perché quello dell’insegnante lesbica del Tuscolano è emblematico di un disturbo affettivo, di un rapporto malato con un’allieva turbata anche lei. E in caso di patologia, vanno curate, entrambe. Poi, ci si chieda com’è possibile che a una donna così sia data la responsabilità di educare dei giovani (i famosi colloqui necessari più di ogni concorso!) e che una ragazza del genere non sia stata riconosciuta e accudita dai suoi genitori. Qualcosa dovrebbero pagare anche loro.