Mi sono rallegrato quando leggendo su Repubblica il resoconto dell’udienza generale di mercoledì 2 aprile non ho trovato nessuna accusa di omofobia, perché motivi ce ne sarebbero stati. “L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale, è l’uomo e la donna, tutti e due, non soltanto il maschio, l’uomo, non soltanto la donna, no: tutti e due“. Se l’avessero detto tanti altri sarebbe scoppiata la bagarre e perché con lui no? Voglio capirlo senza fare paragoni o immaginare congiure: non voglio parlare di scarpe nere e di camauro (tanto, a ragione, nessuno si ricorda cos’è), né voglio parlar male della fine strategia dei mass media che non a caso scelgono di innalzare uno e di abbassare gli altri: i giornali e le tv fanno il loro lavoro, cercano il pubblico. La domanda è: perché Francesco ha questo pubblico?
Risposta semplice: è simpatico a pelle. Delusi? troppo banale come soluzione? Se pensiamo così, che la simpatia sia una sorta di cipria per imbellettare quanto andrebbe virilmente mostrato nella sua rudezza, siamo dei vecchi senza nipoti che hanno bisogno di pensare per vedere ciò che è evidente. O, se non siamo vecchi, siamo maschi in senso sbagliato. Se io non mi faccio la barba la mattina e immagino i commenti di qualcuno, insorge dentro di me il chissenefrega, ma per una donna non è così. Una donna sa che facendosi bella non sta cadendo nell’artificio ma che diventa sé stessa. È la stessa logica dei colori dei fiori e del profumo che attira le api, perché le cose belle sono buone e anche vere, ma il modo normale di evidenziare il buono e il vero è il bello, non lo spiegare che sto dicendo delle cose molto vere e molto morali che però sono difficili da accettare e da capire. No, non è così. Quando sottolineo a chi parla troppo di buono e di vero che forse dimentica il bello, spesso mi sento dire cose tipo “in greco bello e buono convergono e, addirittura, in ebraico c’è un’unica parola: tobh”. Appunto! Nella cultura greca e in ebraico. Non in italiano. O anche in francese (la lingua parlata dai cinque ragazzi belgi che intervistano il Papa). O anche in inglese (la lingua parlata dal vescovo pentecostale che intervista il Papa con l’iphone).
Papa Francesco ci sta dicendo che siamo in troppi a parlare del buono e del vero in modo repellente. Che il vangelo è l’assoluta simpatia per l’uomo ed è previsto che lo capiscano tutti perché è così: lo capiscono tutti, è la stessa simpatia del Papa. Per questo domenica 6 aprile ha regalato alla folla dell’Angelus un vangelo a testa e ha detto di portarlo con sé, cartaceo o “in un telefonino, in un tabet perché lì ci sono le parole di Gesù”.
Quando Gesù diceva “perfino i cani gli leccavano le piaghe” tutti capivano che stava dicendo che prendersi cura di un ferito è cosa ovvia, che la capiscono perfino i cani, e chi non lo fa non è nemmeno al loro livello (dei cani). Papa Francesco dice che ci siamo nascosti dietro l’idea che il vangelo è difficile e che il mondo non lo capisce, ma non è vero: è difficile da vivere ma non da capire. Le cose che Gesù dice sono facili ed attraenti e per questo l’hanno crocefisso. Come fai a zittire, se non crocefiggendolo, uno che ti dice che bisogna salvare chi è caduto nel pozzo anche se è sabato?
Papa Francesco è simpatico perché il vangelo è simpatico. E quando una cosa non è bella – cioè non è simpatica – è inutile dire “ho ragione” e “sto dicendo delle cose molto vere anche se sono dure da accettare”. Quando guardi i bambini che giocano al parco, scopri che si scelgono secondo criteri nati dal primo sguardo, due al massimo. Non si scelgono perché hai portato la palla o per come sei vestita. Se gli chiedi perché non invitate anche lui – lei – loro ti rispondono che è antipatico. Da adulti perdiamo la percezione di questo giudizio a pelle, ma la gente lo sta recuperando. Nella natura il bello e il vero vanno d’accordo e il mondo attuale sta riscoprendo questa evidenza. Anche attraverso i social. Provate a stare su twitter in modo serio (da twitter) e ve ne accorgerete. A me non stanno antipatici i vecchi, però consiglio loro di diventare dei nonni. E di guardare i nipoti giocare.