Il capo della Polizia Alessandro Pansa si è incontrato con la mamma di Federico Aldovrandi, morto a 18 anni, il nel 2005, a causa di un arresto contrastato, gestito male da quattro poliziotti a Ferrara. L’incontro era per chiedere scusa alla madre del fatto che al congresso del sindacato Sap, martedì pomeriggio a Rimini, al Grand Hotel, ci sia stato un lungo applauso alla notizia che sarebbero arrivati i poliziotti condannati .
Dopo 9 anni dall’accaduto si vive ancora la grave vicenda , con una continua lotta della madre e della sorella che hanno avuto un grande spazio mediatico, per i duri giudizi che hanno sempre espresso, senza ombra di dubbio , contro l’operato della polizia. Eppure un dubbio era presente secondo i difensori dei poliziotti, il ragazzo era notevolmente indebolito dalla droga, e la morte poteva risalire alle conseguenze della sedazione della sua reazione forte all’arresto.
Ma la condanna della magistratura c’è stata, tre anni e mezzo per omicidio colposo. Ridotti a un anno per l’indulto. Hanno scontato l’anno in carcere anche se erano incensurati, e gli avrebbero potuto concedere le pene alternative.
Sull’applauso di solidarietà dei colleghi si concentra la riflessione che si deve fare, fuori dal clima di campagna elettorale che purtroppo incide ora nel giudicare il fatto.
Angelino Alfano ha dichiarato “le persone in divisa non devono applaudire contro una sentenza della magistratura”. Ma non si considera che le persone in divisa hanno bisogno della solidarietà dei colleghi, non a caso esistono i sindacati di polizia, il primo è il Siulp che ha condannato l’applauso, il secondo è il SAP che invece ha sempre espresso critiche alla sentenza. Ma l’applauso era rivolto alle persone, ai colleghi, che devono aver vissuto momenti terribile nelle carceri.
Il ragazzo non doveva morire, aveva diritto al recupero e alla occasione di cura possibile. Aveva diritto ad essere compreso nella sua difficoltà esistenziale, e essere sostenuto da un amore capace di essere accogliente verso la fragilità.
Accogliente vuol dire una attenzione che va ben oltre una questione di diritti, che deve essere la vera umanità messa in gioco sia dai parenti che dai poliziotti.
Parliamo allora dei poliziotti. Ricordiamoci delle condizioni di lavoro e di retribuzione, e subito comprendiamo che nel loro lavoro sono sottoposti ad una tensione che non è adeguata ad intervenire con accortezza nelle molteplici situazioni che devono affrontare. Prima fra tutto l’odio politico verso i poliziotti in nome della lotta di classe contro gli sfruttatori. Vale la pena di ricordare la poesia di Pier Paolo Pasolini fatta nel ’68, dopo gli scontri di Valle Giulia, con molti poliziotti picchiati dagli universitari romani. Pasolini fu solidale con i poliziotti proprio invertendo l’idea della differenza di classe, i proletari erano i poliziotti e i borghesi erano gli studenti.
Si guardi invece ancora adesso, dopo questi applausi, la richiesta che viene dagli scandalizzati è addirittura l’espulsione dalla polizia dei poliziotti, i quali hanno ormai pagato la loro condanna. A parte il fatto che non sono stati loro ad applaudirsi, e dunque non è ragionevole sostenere che debbano essere ancora puniti.
Infine c’è stata una sentenza, una carcerazione, un prezzo pagato, e non si capisce perché non si possa essere colleghi accoglienti verso questi poliziotti che hanno certo commesso degli errori.
Madre e sorella hanno trovato ampio riconoscimento per il loro dolore, ma la responsabilità di riunire la vita comune, dove le colpe sono negli esseri umani, ma dove le responsabilità sono da condividere, questa è di tutti.
C’è bisogno di un modo molto diverso di guardare, fatto di misericordia e di perdono, come il Salvatore ci ha continuamente indicato, e non si tratta di una cosa che riguarda solo la vita religiosa, non c’è vita civile senza questo sguardo, la fredda mentalità dei diritti e doveri non compone la complessità della vita insieme.