Lo hanno definito “mostro”, accusato di numerosi abusi sessuali, l’ultimo sfociato in omicidio. Si chiama Riccardo Viti, italiano, idraulico.
Un omino basso e tarchiato, stempiato, un vicino silenzioso e introverso, mai avremmo dovuto sentire di lui; eppure il suo nome e il suo volto stanno facendo il giro d’Italia, del mondo, e le risposte che sta confessando ai suoi custodi tutti noi vorremmo sentirle, vorremo che ci soddifacessero, che placassero quel mare di emozioni burrascose che ci sta agitando, che fa naufragare il buon senso e quello che resta della nostra moralità. Il suo viso, abbassato, vergognoso, il suo corpo massiccio stretto da due agenti, le mani legate dietro, ci mostra chi è un sadico, violentatore, chi gusta il male e ne trae il suo piacere. È quello dunque? È quello il volto del male?
Il procuratore capo di Firenze lo ha definito “l’uomo della porta accanto”, “che è regolarmente sposato e con un figlio della convivente”, accudisce i vecchi genitori che abitano in un appartamento comunicante, il padre di ottant’anni, e la madre, all’alba di ieri, al momento dell’irruzione e dell’arresto che lo interpella: “Ma che sei te il mostro di Ugnano?”
“Sì, sì, l’ho fatto io, non pensavo che morisse, ho fatto una c… Sono finito. Ormai non mi salva nessuno”.
I particolari macabri del gesto, le sevizie, le interviste, ce le propineranno a man bassa, già il web ne prolifera, così come è stata diffusa la foto del cadavere della giovane donna uccisa, appesa, i risultati dell’autopsia, il modo barbaro, l’arma: un comune manico di scopa.
Orrori che montano, nutrono quasi, fino a arrivare a anestetizzare le nostre menti; in fondo pensare alle brutalità ci fa prendere le distanze dall’umanità della vicenda.
Perché di uomini e donne si tratta, si tratta di noi.
La vittima: dietro il sostantivo “prostituta” a quanto pare sta una ragazza giovane e fragile (le sceglieva così per poterle sopraffare) con due bambini piccoli; trenta euro, per fame, affermano. Il marito (piange nell’intervista) disoccupato, conferma lo facesse solo a volte per bisogno.
E per bisogno, a volte, tirando sul prezzo perché anche lui con poco lavoro, il Viti sodomizzava donne semischiave. Con dentro una fame, diversa e terribile.
Ora risponde sua madre ai giornalisti “Lasciatemi stare, sono sola nella mia disperazione” e replica che non ne vuole sapere di lui, lo credeva una brava persona; suo figlio, il “mostro” al suo fianco al supermercato, davanti ai poliziotti senza remore la guarda e le confessa “Sì” (che significa “prendimi per ciò che sono davvero, prendetemi e fermatemi da solo non posso e non voglio”), mamma l’ho fatta grossa, nemmeno tu, nessuno mi salva…
“Cos’è l’uomo perché te ne curi?” mi verrebbe da dire, guardando quei volti che raccontano una verità tutta loro, ciascuno dentro la sua porzione di morte. Ognuno di loro con dentro la sua fame, che si affanna a saziarla; ognuno di noi, denudato davanti alla banalità di tanto male.
Accanto alla Arendt, mi ricordo di Cristina Campo, dei suoi “Imperdonabili”.
Li chiama così, ma non si riferisce ai carnefici, lei definisce “Imperdonabile” colui che non vede la bruttura, il male; che si mette i paraocchi, chi lo evita, chi si indigna e non fa nulla; chi sguazza nella notizia, nel marciume, e poi si lava le mani, godendo della sua presuntuosa innocenza.
Ora, certo non intendo mettermi a moralizzare, facendo questo sarei davvero imperdonabile.
In fondo mi ritrovo a non aver niente di speciale da dire, scusatemi.
Perdonatemi se potete, chiedete perdono anche voi, per piacere, per me, per loro, per tutto il genere umano, per tutto il male che fa ogni giorno, senza senso o per puro egoismo, in ogni angolo di questa meravigliosa Terra. Per il male che fa alla Terra stessa, che fa a Dio.
E poi magari ringraziamo per tutta la felicità che comunque abbiamo, vediamo, viviamo, per tutto l’amore che comunque sappiamo e conosciamo.
Forse questa è la sola mossa consentita, la sola morale da cercare: non una commovente emozione, ma proprio e unicamente quella spinta che cerca il bene dell’altra persona, il volere bene, tenendoci ben stretto il desiderio infinito di felicità: chi vuole il male, chi fa male, non lo fa certo per essere felice.