Il nuovo procuratore capo di Firenze – Giuseppe Creazzo – è stato designato dal Csm con 14 voti favorevoli: la maggioranza minima possibile nell’organo di autogoverno della magistratura. Il plenum del Csm è di 27 membri, compresi i tre membri di diritto. Questi sono il presidente (il Capo dello Stato, che di norma non partecipa ai lavori e agli scrutini), il vicepresidente (un “non togato” di presidio parlamentare) e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Questi ultimi – in questi momento rispettivamente Luigi Vietti e Gianfranco Ciani – hanno votato a favore dell’attuale procuratore di Palmi, che ha ottenuto 12 voti a favore fra i 24 membri eletti del Csm (16 togati e 8 laici). Creazzo – una lunga carriera in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata in Calabria – approda quindi al vertice di una procura di prima fascia senza aver registrato una maggioranza numerica fra i membri del Csm che esprimono la democrazia parlamentare e l’autoselezione dei magistrati. Creazzo eserciterà l’azione penale nella città di cui è stato sindaco fino a tre mesi fa l’attuale premier Matteo Renzi, il quale – per ora – non dispone di immunità parlamentare.



Un consenso appena superiore hanno ottenuto i due altri neo-procuratori capi: Armando Spataro, a Torino, e Giuseppe Volpe, a Bari. Entrambi sono stati designati con 16 voti (14 da membri eletti). Come Creazzo, hanno ottenuto l’appoggio stretto di “togati” e “non togati” di centrosinistra (l’arcipelago di Magistratura democratica e Pd) . A Torino Spataro raccoglie l’eredità di Giancarlo Caselli e dovrà anzitutto affrontare la situazione Tav, resa estremamente complessa dai legami fra centri sociali cittadini e le forze antagoniste che operano attorno ai cantieri della Val di Susa. A Bari Volpe trova un ufficio non meno attraversato da tensioni interne ed esterne (fra queste quelle relative alle inchieste cosiddette “escort” sull’ex premier Silvio Berlusconi e quelle sull’amministrazione regionale di centrosinistra).



Perché un blitz sulla grande geografia giudiziaria a quattro giorni dalle elezioni e con questo esito tanto contrastato quanto annunciato? Gli osservatori sono abbastanza concordi: si è trattato di una risposta – in parte istituzionale, in parte “di parte” – alla forte e imprevista destabilizzazione accusata dall’ordine giudiziario per l’esplosione del “caso Milano”. E non per coincidenza, proprio ieri si è avuto notizia di una parziale ricomposizione formale dei conflitti scoppiati al vertice della procura meneghina: la lettera di solidarietà firmata da 62 pm su 75 a favore del procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, “condanna” implicitamente l’aggiunto Alfredo Robledo che da due mesi duella clamorosamente con il suo capo sulla regolarità nell’assegnazione delle inchieste e nella gestione complessiva della più importante procura italiana.



Il passaggio – maturato esso pure in extremis prima delle elezioni europee – sembra preparare il terreno per un rapido rientro della querelle entro ambiti procedurali, con un esito formale prevedibile: il trasferimento “per incompatibilità ambientale” di Robledo (il cui riferimento è “Magistratura indipendente”, moderato rispetto a Unicost e Area). Potrebbe però trattarsi di una “vittoria simbolica” da parte di Md, finora maggioritaria a Milano come nel Csm. A palazzo dei Marescialli il rinnovo dei togati è infatti imminente e una conferma di Bruti Liberati – in proroga nel mandato – appare ogni giorno meno probabile. A Milano una sola cosa è certa: arriverà un nuovo capo e lo nominerà un nuovo Csm, in un contesto complessivo incertissimo come lo è, a 48 ore dal voto europeo, il futuro politico del Paese. E in questo quadro il blitz sulle nomine non appare affatto sorprendente.

Da un lato l’intero corpo giudiziario (sotto la preoccupata vigilanza del Quirinale) ha voluto lanciare un segnale forte: al proprio interno e all’esterno. La dialettica – anche forte – fra singoli magistrati o correnti della magistratura – non può oltrepassare limiti di non ritorno per la credibilità istituzionale. La solidarietà della Procura di Milano a Bruti Liberati (prodromica alla probabile “chiusura del caso” in Csm) è, su questo piano, indicativa: un capo in carica viene sempre tutelato dall’istituzione, per quanto serie e delicate restino le questioni poste dall’aggiunto Robledo sulle inchieste Expo e Ruby. D’altro canto le nomine di Spataro (uno dei “campioni” della Procura di Milano), Creazzo e Volpe hanno voluto segnalare il superamento della sostanziale paralisi del Csm negli ultimi due mesi, ma non solo. La maggioranza di centro-sinistra nel Csm (trasversale fra togati e non togati) ha voluto imporre in extremis che designazioni annunciate – e delle quali certamente non è mai stato in discussione il profilo professionale – venissero bruciate dal caso Robledo e – probabilmente – dalla riapertura del cantiere della riforma della giustizia preannunciata da vari esponenti del governo.

A rischio consueto di dietrologia, su questo sfondo può essere letta – almeno in termini di temporalità oggettiva – la corposa cronaca giudiziaria di ieri. L’offensiva sul fronte bancario-assicurativo (con gli arresti per Carige e nuovi filoni d’indagine sulla fusione UnipolSai, con Mediobanca in regia) si intensifica dopo l’avviso di garanzia inviato al banchiere-decano Giovanni Bazoli e le ombre allungate sul leader della Fondazioni, Giuseppe Guzzetti. C’è la coincidenza fra l’evocazione di una “tangentopoli bancaria” e la narrazione strutturalmente anti-bancaria del populismo del Movimento 5 Stelle. E c’è, nondimeno, l’evidenza che le Procure non “discriminano” nel perseguire le diverse categorie di presunti “nemici dell’interesse pubblico”: siano essi pubblici amministratori o imprenditori privati; più vicini all’uno o all’altro schieramento politico.

(Certo, quando il sostituto procuratore milanese Luigi Orsi si rimette al lavoro sul caso Ligresti due anni dopo averlo aperto e nel giorno in cui il suo diretto superiore – l’aggiunto Francesco Greco – rimane in lizza per la guida dell’Agenzia delle Entrate, porsi qualche interrogativo non è illecito. Più dietrologico è invece accostare il blitz sui vertici di Carige in termini rafforzativi all’inchiesta Scajola, ras ligure; ma anche ai nuovi pressing in corso sull’ex segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone e sul presidente ormai uscente della Cei: entrambi arcivescovi di Genova tradizionalmente influentissimi alla Fondazione e alla Cassa di risparmio locali).